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martedì 30 giugno 2020

Il CEDS e il lavoro femminile in Europa



Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS) è l’organismo del Consiglio d’Europa che controlla il rispetto degli impegni assunti dagli Stati per garantire l’applicazione dei diritti riconosciuti dalla Carta Sociale Europea tramite due meccanismi complementari: i reclami collettivi, che possono essere presentati da associazioni sindacali e datoriali, oltre che da altre organizzazioni non governative (procedura dei reclami collettivi), e i rapporti nazionali periodici presentati dai Governi delle Parti contraenti (procedura dei rapporti).
Lo scorso 29 giugno, tale organismo, a seguito dei reclami proposti dalla ONG internazionale University Women Europe (UWE), ha rilevato violazioni del diritto alla parità di retribuzione e del diritto alle pari opportunità sul luogo di lavoro in 14 dei 15 paesi che hanno acconsentito ad applicare la procedura dei reclami collettivi della Carta sociale europea: Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovenia. 
Nessuno è escluso, insomma; solo la Svezia ha adottato comportamenti conformi alle disposizioni della Carta.
Ai sensi della Carta Sociale Europea, il diritto alla parità di retribuzione deve essere garantito per legge. In particolare, il CEDS ha indicato quattro precisi obblighi a carico degli Stati contraenti:
1) Riconoscere nella loro legislazione il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore; 
2) Garantire l’accesso a vie di ricorso efficaci per le vittime di discriminazione salariale;
3) Assicurare la trasparenza salariale e rendere possibile un confronto delle retribuzioni;
4) Mantenere attivi organismi efficaci per la promozione della parità e istituzioni competenti per garantire nella pratica la parità di retribuzione.



Marija Pejčinović Burić, Segretaria generale del Consiglio d’Europa, sul punto ha affermato: “Il divario retributivo di genere è inaccettabile, eppure continua a rappresentare uno dei principali ostacoli al conseguimento di una reale uguaglianza nelle società moderne. I governi europei devono intensificare urgentemente gli sforzi per garantire le pari opportunità sul posto di lavoro. E un numero maggiore di paesi dovrebbe utilizzare la Carta sociale europea del Consiglio d’Europa in quanto mezzo per raggiungere tale obiettivo”.
Il CEDS, pur avendo concluso che la legislazione di tutti i 15 paesi interessati risulta soddisfacente per assicurare il riconoscimento del diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro, ha riscontrato un discreto numero di violazioni dovute principalmente agli scarsi progressi nella riduzione del divario retributivo di genere; in alcuni casi ciò è dovuto anche alla mancata trasparenza salariale nel mercato del lavoro, all’assenza di vie di ricorso efficaci e all’insufficienza dei poteri e mezzi conferiti agli organismi nazionali per la promozione della parità di genere.
Inoltre, bisogna sottolineare che, malgrado gli accordi sull’applicazione di sistemi di quote e l’adozione di altre misure, le donne continuano ad essere sottorappresentate nelle posizioni decisionali all’interno delle aziende private.
A tale riguardo, il CEDS ha constatato che la percentuale di donne che siedono nei consigli di amministrazione delle più importanti società quotate in borsa nei paesi in cui vigono disposizioni legislative vincolanti è passata da una media del 9,8% nel 2010 al 37,5% nel 2018. Nei paesi che hanno intrapreso interventi positivi per promuovere l’equilibrio di genere, senza tuttavia adottare misure vincolanti, le percentuali sono state del 12,8% nel 2010 e del 25,6% nel 2018, mentre nei paesi in cui non è stato realizzato nessun intervento particolare (oltre all’autoregolazione da parte delle aziende) la situazione è rimasta praticamente invariata, con una media del 12,8% di donne presenti nei consigli di amministrazione nel 2010, che è passata al 14,3% nel 2018. 



Il CEDS ha pertanto ribadito che la Risoluzione dell'APCE 1715 (2010) raccomanda che la percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società sia almeno del 40%.
Nella sua relazione e in merito alle questioni più generali, il CEDS ha per la verità constatato che il divario retributivo di genere si è ridotto in alcuni paesi, ma che i progressi sono ancora insufficienti.
Il CEDS, infatti, chiarisce che il divario retributivo di genere non è più unicamente né principalmente il risultato di una vera e propria discriminazione ma che deriva essenzialmente dalle differenze nelle cosiddette “caratteristiche medie” delle donne e degli uomini nel mercato del lavoro. 
Testualmente: “Tali differenze sono dovute a numerosi fattori, quali la segregazione orizzontale, quando un sesso si trova concentrato in determinate attività economiche (segregazione settoriale di genere) o in determinate occupazioni (segregazione professionale di genere), come pure la segregazione verticale, in particolare il fatto che sono troppo poche le donne che occupano le posizioni dirigenziali e decisionali meglio retribuite all’interno delle aziende. Gli Stati dovrebbero pertanto valutare l’impatto delle misure politiche adottate per affrontare la segregazione di genere nel mercato del lavoro, migliorando la partecipazione delle donne a una gamma più vasta di posti di lavoro e di professioni.”.
Per quanto attiene il Belpaese, il gender gap nel mercato del lavoro è ancora lontano dall'essere colmato in Italia, Paese che “ha fatto insufficienti progressi misurabili nel promuovere uguali opportunità” tra donne e uomini.



Insomma, anche in materia di lavoro femminile, l’Europa rappresenta il migliore stimolo per il miglioramento e l’avanzamento sociale… checché ne dicano i populisti e i sovranisti e le donne che militano e sostengono quei partiti e movimenti antieuropeisti.

domenica 28 giugno 2020

La relazione 2020 del Garante dei detenuti





Il carcere ai tempi del Coronavirus è un tema che merita una particolare attenzione, soprattutto bisogna evitare le grossolane semplificazioni di tanto populismo che oggi va per la maggiore.
Come sempre l'invito è ad approfondire e ad andare direttamente alle fonti qualificate.
In concomitanza con la Giornata internazionale per la lotta contro la tortura, il 26 giugno, il "Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti" ha presentato al Parlamento la sua Relazione al Parlamento per il 2020.

Nel suo intervento il Presidente del Collegio del Garante, Mauro Palma, ha dichiarato che “il ricorso alla tortura non è una pratica da relegare a contesti a noi distanti. Nessuno Stato può ritenersi immune da episodi che possano essere così qualificati. Abbiamo imparato – purtroppo proprio attraverso l’esperienza vissuta nel nostro Paese diciannove anni fa – come la tortura possa presentarsi anche laddove non vi sia una situazione tecnicamente definibile come conflitto, perché il ricorso a maltrattamenti e tortura si può palesare quando si insinua un sentimento di negazione della persone di cui si è-seppur temporaneamente – custodi e responsabili. Per questo, l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale, va salutato non solo come adempimento, quantunque tardivo, di un obbligo assunto sul piano internazionale, ma come atto di responsabilità, affinché comportamenti così gravi non corrano il rischio dell’impunità e al contempo si salvaguardi la dignità di tutti coloro che operano correttamente e dei loro Corpi di appartenenza”. 
A tal proposito giova evidenziare che proprio il Garante nazionale, su mandato dell’ONU, è anche il Meccanismo di prevenzione della tortura in Italia.

Un compito importante che la legge affida al Garante nazionale è quello di visitare i luoghi di privazione della libertà; pertanto tra il marzo del 2019 e i primi mesi del 2020 il Garante ha visitato ben 70 luoghi di privazione della libertà in 15 regioni (Carceri, Istituti minorili, Cpr, Residenze per anziani, Residenze per le misure di sicurezza psichiatriche- Rems, Hotspot, Servizi ospedalieri psichiatrici di diagnosi e cura – Spdc, camere di sicurezza e luoghi di interrogatorio delle Forze dell’ordine) e ha monitorato 46 voli di rimpatrio forzato.

Questo è l'incipit della Relazione: "Non è possibile relazionare al Parlamento sulle attività che il Garante nazionale ha condotto nel corso del 2019, senza tenere presente il momento particolare in cui tale doveroso rivolgersi a chi ha responsabilità legislativa avviene. L’emergenza determinata dal contagio da Covid-19 ha mutato la nostra percezione della difficoltà e del dolore, così come la capacità di analizzare i luoghi dove il dolore già prima di tale emergenza si coagulava perché intrinseco alla privazione della libertà, qualunque ne possa essere la causa che l’ha determinata.".
Per approfondire: http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/dettaglio_contenuto.page?contentId=CNG9035&modelId=10021

No barriere: il piano elaborato dall'Associazione Luca Coscioni

Nei giorni scorsi avevamo dato la notizia che l’Associazione Luca Coscioni avrebbe promosso per il 27 giugno 2020 il convegno “No barriere. In ogni senso” (cfr. https://avvocatisquillaciotigrillo.blogspot.com/2020/06/disabilita-e-stati-generali.html?m=1).
La finalità dichiarata dell'incontro era quella di formulare proposte per restituire a milioni di cittadini con disabilità quelle libertà negate per ragioni dipendenti da leggi non rispettate o da riforme non attuate e che impongono loro un costante lockdown. 
È evidente, peraltro, che modifiche legislative e di politica sono oggi ancora più necessarie che in passato a causa delle misure imposte dall’emergenza sanitaria.
L'incontro, svolto in modalità telematica, ha consentito un confronto tra i dirigenti dell’Associazione e molti militanti dei diritti delle persone con disabilità su azioni civili e giudiziarie per articolare proposte politiche sui temi delle barriere architettoniche, sensoriali, digitali, degli ausili, delle protesi e dell’assistenza sessuale.

lI documento, elaborato all'esito del convegno, è la sintesi delle proposte più importanti.
1) Introdurre un “superbonus per la libertà”, per equiparare gli interventi di abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici a quelli del cosiddetto superbonus del 110%.
2) Garantire l’accessibilità digitale prevista – e troppo spesso non attuata – per la pubblica amministrazione, anche ai servizi pubblici dell’offerta privata e consentire l’utilizzo della firma digitale – già equiparata alla firma autografa a livello comunitario – e altri strumenti di identificazione digitale per la piena partecipazione in ambito democratico delle persone con disabilità per la sottoscrizione di referendum, proposte di legge popolare, liste elettorali ecc...
3) Istituire registri regionali – già presenti in Lazio e Lombardia – da collegare a un registro nazionale, per monitorare l’applicazione della legge sui Piani di eliminazione delle barriere architettoniche da parte dei comuni affinché l’adozione degli stessi, obbligatoria per tutte le amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, divenga requisito necessario per l’accesso ai finanziamenti pubblici per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
4) Adottare una  legge sull’assistenza sessuale, già presentata in Parlamento in altre legislature, per consentire anche alle persone con gravi disabilità di poter vivere una dimensione fisica e psicologica relativa alla loro sfera sessuale, che oggi è di fatto proibita.
5) Evitare che le tipologie di ausili contenuti nel “Nomenclatore tariffario” destinate ai bisogni più delicati e complessi siano acquistate e fornite senza adeguate gare d’appalto come previsto dalla nuova normativa.
6) Prevedere un modello di gestione unica per tutto quanto attiene alla disabilità  e le attività e gli interventi sociosanitari integrati di cui al DPCM 12.1.2017 (nuovi LEA) con il fine di includere – secondo la metodologia del budget di salute – le diverse misure di parte sociale e sanitaria previste dalle vigenti normative per il sostegno all’autonomia, la vita indipendente, la domiciliarità delle cure per le persone con disabilità fisica e psichica, attraverso uno strumento informativo completo e di facile comprensione per la massima conoscenza e fruizione dei cittadini.
Infine, è emerso che "per superare questa gestione poco efficiente occorre elaborare un testo unico (che proponga misure, benefici, interventi per specifici ambiti) gestito da una governance centralizzata e non da un federalismo dell’abbandono, in grado di superare la frammentazione. Le persone con disabilità inoltre hanno la necessità di interfacciarsi con strumenti trasparenti e accessibili."

giovedì 25 giugno 2020

Sovraindebitamento: le proposte di riforma


È purtroppo noto che la grave crisi economica, effetto dall’emergenza sanitaria e del lockdown, stia generando situazioni di seria difficoltà per decine di migliaia di piccole aziende, lavoratori autonomi e anche famiglie, rendendole potenziali vittime dell'usura.
Su questo tema, lo scorso 19 giugno, i dottori Commercialisti hanno organizzato un webinar dall'eloquente titolo: “La gestione delle crisi da sovraindebitamento nella fase di emergenza sanitaria”.
Vale la pena ricordare che tra i beneficiari della Legge 3/2012 sul sovraindebitamento oltre ai consumatori in difficoltà finanziaria, ci sono anche gli imprenditori commerciali cd. “sotto soglia” (i piccoli) e, a prescindere dalle dimensioni, gli imprenditori agricoli, i lavoratori autonomi, i professionisti, le società tra professionisti ed artisti, gli enti non profit, le start up innovative.
Il seminario, seguito in diretta web da migliaia di professionisti da tutta Italia, ha prodotto un comunicato stampa le cui conclusioni possono essere così sintetizzate: lo strumento più efficace in campo per aiutare questi soggetti sono le procedure da sovraindebitamento, le quali andrebbero però semplificate per provare a dimezzarne i tempi nonché per trovare soluzioni adatte per modificare rapidamente i piani già omologati e in esecuzione.
Più nel dettaglio, il Presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Massimo Miani, ha dichiarato che “nell’attuale situazione di emergenza sociale post Covid-19, la crisi da sovraindebitamento tornerà ad avere un ruolo fondamentale. I dati diffusi dall’Istat destano forte preoccupazione. Tra marzo e aprile hanno perso il lavoro quasi 400mila persone. Secondo la task force a cui aderiscono MEF, MISE, Banca d’Italia, Abi, Medio credito centrale e SACE le richieste pervenute al Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa per la sospensione di prestiti e rate solo a fine maggio sono 69.000 (con importo medio di 89.000 euro). I consumatori, i professionisti, i piccoli imprenditori sono in enorme difficoltà. Lo sono sia quelli ammessi in precedenza alla disciplina del sovraindebitamento, che a causa della pandemia si vedono costretti a rinegoziare i termini di adempimento dei piani già omologati o a dover tornare davanti al giudice per modificare i precedenti accordi siglati con i creditori, sia quelli che, pur essendo prima del Covid in bonis, a causa della pandemia si trovano e si troveranno improvvisamente “sovraindebitati” per aver perso il lavoro o per aver visto ridurre in modo vertiginoso il fatturato, o per aver dovuto chiudere o sospendere le attività”.
Anche la Consigliera Nazionale dei Commercialisti, delegata alle procedure ADR, Valeria Giancola, ha ricordato che è stata proposta dai commercialisti una procedura semplificata per garantire al sovraindebitato di rinegoziare esclusivamente gli originari termini di adempimento senza riattivare i procedimenti di consultazione per ottenere il consenso dei creditori ma solo su parere dell'OCC e con provvedimento del giudice.

Inoltre, sempre dei commercialisti è la proposta di una modifica dell’attuale disciplina per consentire ai sovraindebitati, fortemente danneggiati dalla pandemia, di poter apportare modifiche sostanziali, ben più rilevanti rispetto al mero slittamento delle scadenze iniziali, ai piani e agli accordi già omologati e in esecuzione in tempi rapidi.



Invece di baloccarsi con gli Stati Generali e con un numero mirabolante di task force, forse il Governo italiano farebbe bene ad ascoltare la voce di professionisti che lavorano sul campo da anni e che conoscono bene la concreta realtà dei tribunali e delle sue prassi.

mercoledì 24 giugno 2020

Il Referendum costituzionale e il DL Elezioni



Benedetto Della Vedova, il 19 giugno scorso, sul sito istituzionale di Più Europa, in relazione al DL Elezioni, convertito in legge ordinaria sul filo di lana, così si esprimeva: “Con fatica degna di miglior causa e all’ultimo minuto utile, la maggioranza mette a segno un duro colpo alla partecipazione democratica.
Da una parte si costringono le forze politiche nuove, non presenti nei consigli regionali, a una raccolta firme tra luglio e agosto per la presentazione delle liste alle elezioni regionali e amministrative. Il tutto attraverso procedure manuali che, coinvolgendo centinaia di migliaia di persone, sottoporrebbero militanti, autenticatori e sottoscrittori a comportamenti pericolosi, del tutto opposti a quelli prescritti per evitare ritorno del contagio da Coronavirus. I partiti che non dovranno raccogliere sottoscrizioni scelgono la via oligarchica e antidemocratica, ‘chi è dentro è dentro…’ gli altri si arrangino. In secondo luogo l’abbinamento tra referendum costituzionale ed elezioni regionali impedirà che si discuta davvero di una riforma che stravolge gli equilibri costituzionali senza alcun criterio che non sia la furia antipolitica e anti istituzionale del M5S.”.



In questi giorni, su Il Dubbio (il quotidiano di proprietà del Consiglio Nazionale Forense), anche Paolo Armaroli, docente universitario di diritto pubblico comparato e di diritto parlamentare, già deputato nella XIII Legislatura con Alleanza Nazionale, prende posizione sulla questione e lo fa da tecnico e non da politico con un articolo dal titolo assai eloquente: “Referendum ed elezioni: la voglia matta di abbinare manda in tilt la Costituzione”.
L’incipit è fulminante: “Il dado è tratto. La legge di conversione del decreto legge sulle consultazioni elettorali per il 2020 ha chiuso il cerchio. Ha accorpato di tutto di più: tutte le consultazioni elettorali – dalle regionali al primo turno delle amministrative, dalle suppletive alle circoscrizionali – e, in zona Cesarini, anche il referendum confermativo della legge costituzionale sul taglio dei parlamentari. Già indetto per il 29 marzo e rinviato causa Covid. Più che un’idea infelice, un’assurdità vera e propria. Se si voterà domenica 20 e lunedì 21 settembre, come sembra, il decreto presidenziale d’indizione del referendum ci sarà attorno al 10- 15 luglio. Perché tra la data d’indizione e la data di svolgimento del referendum deve intercorrere un lasso temporale compreso tra i 50 e i 70 giorni.”.
Da un punto di vista squisitamente politico è evidente che le consultazioni elettorali e le consultazioni referendarie rispondano a logiche totalmente diverse: con le prime si eleggono i candidati, con il referendum costituzionale si conferma o meno una riforma della Legge Fondamentale. 
In punto di diritto, si consideri, invece, che per la materia referendaria è in vigore la Legge n°352/1970, che pur essendo formalmente una legge ordinaria come quella di conversione del DL Elezioni, è, tuttavia, una legge di attuazione degli articoli 75, 138 e 132 della Costituzione, nonché dell’articolo 71, relativo alla iniziativa popolare delle leggi.



“A questo punto –chiosa il Prof. Armaroli- il comitato promotore del referendum costituzionale, in quanto potere dello Stato, potrebbe sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento, che ha approvato una legge di conversione gravata da un abbinamento che non sta in piedi; del presidente della Repubblica, che di qui a poco emanerà il decreto d’indizione del referendum e anche del governo, perché il predetto decreto sarà emanato su deliberazione del Consiglio dei ministri.”.
Del resto, oltre alla questione strettamente politica posta da Della Vedova e da Più Europa, e sulla quale ovviamente bisogna riflettere in termini di diritti politici dei cittadini e delle organizzazioni partitiche cui essi fanno capo, anche lo stesso dato tecnico-giuridico è abbastanza evidente: abbiano una legge di conversione di un DL che si pone in ostinato e aperto contrasto con la Legge n°352/1970, normativa sì ordinaria ma di stretta attuazione della Carta Costituzionale.

lunedì 22 giugno 2020

UCPI: la lettera per la separazione delle carriere



L’Unione Camere Penali Italiane, con una lettera del 22 giugno u.s. indirizzata a Vito Crimi, Nicola Zingaretti, Matteo Renzi e Pietro Grasso, si appella pubblicamente ai rappresentanti politici della maggioranza di governo affinché la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per introdurre la separazione delle carriere dei Magistrati venga discussa in Parlamento.

Settantaquattromila cittadini italiani hanno firmato per chiedere l’introduzione di questa riforma costituzionale, l’unica riforma che può rendere i Pubblici Ministeri indipendenti dalla politica e rendere i Giudici indipendenti dai Pubblici Ministeri. Sarebbe davvero sorprendente, ed anzi di inaudita gravità, che attraverso degli emendamenti soppressivi si pretendesse di impedire il confronto ed il dibattito su quella proposta, in spregio alla sua natura di iniziativa popolare e alla partecipazione diretta dei cittadini alla formazione delle leggi.

Ne avevamo già parlato il 4 giugno scorso (cfr. https://avvocatisquillaciotigrillo.blogspot.com/2020/06/la-separazione-delle-carriere-la.html) e oggi, che si avvicina il giorno per la discussione in Aula, la questione diventa di più stringente attualità in quanto, come denuncia l’UCPI, i deputati del Movimento 5Stelle hanno presentato in Commissione Affari Costituzionali emendamenti soppressivi della riforma la cui  approvazione affosserebbe qualsiasi confronto.

“Sarebbe davvero sorprendente, ed anzi di inaudita gravità, che si pretendesse in tal modo di impedire perfino il confronto ed il dibattito su quella proposta, in spregio alla sua natura di iniziativa popolare” ribadisce il testo della lettera dei penalisti italiani.

È fondamentale che le istituzioni si confrontino con un tema proposto direttamente dai cittadini anche considerato che, continua la lettera, “autorevolissimi esponenti del Partito Democratico hanno individuato nella separazione delle carriere uno dei punti programmatici della loro iniziativa e comunque aperture alla discussione sono intervenute da parte di molti esponenti di primo piano di tale forza politica. Deputati di tutti i partiti hanno aderito alla costituzione dell’Intergruppo parlamentare a sostegno della calendarizzazione e della discussione in Parlamento della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere.”.

Attualmente la Costituzione italiana prevede che tutti i Magistrati facciano parte di un unico ordine giudiziario al quale si accede mediante concorso pubblico; è tuttavia prevista, nel corso della carriera, la possibilità di passaggio tra la funzione giudicante e quella del Pubblico Ministero che rappresenta l’accusa.

Analogamente, la Carta Costituzionale oggi prevede un unico organo di autogoverno, ovvero il Consiglio Superiore della Magistratura, che assicura l’autonomia dell’ordine giudiziario e si occupa delle questioni inerenti la magistratura civile e penale. Il Pubblico Ministero gode (e anche con la proposta di legge di iniziativa popolare, continuerà a godere) di una posizione di totale autonomia ed indipendenza sia dal potere esecutivo che da ogni altro potere, esattamente come il Magistrato in posizione giudicante.

Pare ultroneo affermare che la separazione delle carriere dei Magistrati impone la separazione tra i Giudici e i Pubblici Ministeri anche in relazione al Consiglio Superiore della Magistratura: si avrebbe così un CSM per la magistratura giudicante e uno per la magistratura requirente. Ora più che mai, dopo lo scandalo Palamara e dell’intero Csm, la proposta appare una misura urgente e non più rinviabile.


Disabilità e Stati Generali



Tra i temi discussi agli Stati Generali in questi giorni si è finalmente parlato anche di disabilità attraverso argomenti fondamentali quali l’inclusione lavorativa, l’abbattimento delle barriere architettoniche e culturali e l’innalzamento delle pensioni.

Il Presidente del Consiglio Conte, all’esito dell’incontro con i Presidenti di Fish (Federazione Italiana Superamento Handicap) e Fand (Federazione Associazioni Nazionali Disabili), ha dichiarato: "Un Piano di Rilancio non può essere realizzato senza tenere conto delle persone con disabilità, senza pensare alla inclusione a tutti i livelli. Tra gli obiettivi strategici riteniamo prioritario quello per una Italia più equa e più inclusiva".

"La cosa più importante ora - ha precisato - è realizzare il Codice per le persone con disabilità che possa restituire l’attenzione per i bisogni non solo materiali ma esistenziali, relazionali, formativi, culturali delle persone con disabilità, favorendo percorsi di vita indipendente. Tra gli altri obiettivi, la definizione di un quadro normativo e di tutela per i caregiver, per cui c’è un progetto avviato in Parlamento. Oltre all’inclusione scolastica e universitaria e all’inserimento nel mondo del lavoro. Senza dimenticare il tema dell’aumento delle pensioni di invalidità che reclama una reazione immediata e incisiva. Ho conservato la delega alla disabilità per dare il massimo segnale di attenzione.”.

Al di là delle belle parole del Premier, però, come rileva anche Rocco Berardo, Coordinatore delle iniziative disabilità dell’Associazione Luca Coscioni, sull’Espresso di ieri, le misure ipotizzate non sembrano essere all’altezza del “niente sarà più come prima”.

Solo per fare un esempio, continua Berardo, “la piena libertà e partecipazione nella vita civile, sociale ed economica delle persone con disabilità incontra ostacoli anche nella sfera politica”. Una semplice proposta, peraltro a costo zero, potrebbe essere quella di implementare l’uso della posta elettronica certificata e della firma digitale che potrebbero consentire al cittadino disabile di firmare una proposta di iniziativa legislativa popolare o per la raccolta firme per un referendum senza dover uscire di casa.

Le barriere architettoniche sono spesso più un ostacolo culturale che fisico; tuttavia sia nel privato (condomini) che nel pubblico (marciapiedi, mezzi di trasporto, lidi) c’è davvero tantissimo ancora da fare. Spesso all’inerzia della politica supplisce la Magistratura: di recente ci siamo occupati su queste pagine del provvedimento del Tribunale di Latina che ha condannato il Comune di Sperlonga a rendere accessibili le proprie spiagge.

Merita, pertanto, di essere segnalato l’incontro online di sabato 27 giugno dalle 9.30 alle 13.30 “No Barriere. In ogni senso” promosso proprio dall’Associazione Coscioni, un momento di confronto sulle azioni civili e le iniziative politiche per i diritti delle persone con disabilità, sui temi delle barriere architettoniche, sensoriali, digitali, degli ausili, delle protesi e dell’assistenza sessuale. Un modo per essere tutti più liberi di scegliere (per saperne di più: https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/eventi/convegno-no-barriere-in-ogni-senso/).

Anche a livello locale, nella nostra Basilicata, il problema della disabilità è fortemente avvertito; anzi qui le difficoltà aumentano per la mancanza generale di servizi alla persona, carenze che per i disabili sono ancora più acuite e gravi.

Proprio stamattina, il Presidente dell’Associazione Angelo Custode, Emidio Lamboglia, a nome di tanti disabili e loro familiari di Lauria e dell’area sud della Basilicata, ha voluto commentare con me l’articolo dell’Espresso e si è fatto portavoce della sostanziale distanza della politica nazionale dai temi che riguardano milioni di cittadini portatori di handicap che quotidianamente vivono problemi di autonomia e indipendenza per il deficit di una adeguata normativa di settore e per la assenza di accortezze architettoniche.

 


sabato 20 giugno 2020

La Giornata Mondiale del Rifugiato


La Giornata Internazionale del Rifugiato è stata istituita dall’ONU il 4 dicembre del 2000 per celebrare il 50° anniversario della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati e da allora in oltre 100 Paesi si tengono manifestazioni e iniziative per promuovere e ricordare le difficoltà e i diritti dei rifugiati.


A mente della Convenzione, il rifugiato è colui «che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra (Articolo 1A)».

In altre parole: rifugiato è chi scappa dalla guerra, dalla sua patria, dai suoi affetti familiari, lasciandosi indietro le sue radici e la sua storia.


L’Italia ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati sin dal 1954.


La Giornata, che si celebra ogni 20 giugno dal 2001, ha lo scopo di rendere più consapevole la pubblica opinione, i governi e le istituzioni.


Oggi, a causa della pandemia da Coronavirus e del conseguente lockdown, è ancora più importante questa campagna di sensibilizzazione. Infatti, in molti Paesi i rifugiati sono rimasti isolati, privi di risorse economiche e spesso senza accesso a ogni tipo di assistenza.

Sebbene i Paesi Occidentali siano i più spaventati e i più preoccupati dalla cd. Invasione dei rifugiati anche a causa della martellante propaganda sovranista, nella realtà dei fatti più dell’80% dei rifugiati è ospitato da Paesi in via di sviluppo.


Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2019 si contano almeno 70 milioni di persone costrette a fuggire e a lasciare le proprie abitazioni.

Tra questi ci sono quasi 26 milioni di rifugiati, oltre la metà dei quali ha meno di 18 anni.

Nel 2020 ci sono più di 10 milioni gli apolidi che non riescono a godere di diritti fondamentali come l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’occupazione e la libera circolazione.

La situazione è drammaticamente precipitata dal 2011, con la guerra in Siria che ha causato una delle peggiori crisi umanitarie della storia: più di 11 milioni di sfollati, l’equivalente del 45% dell’intera popolazione siriana.


Per quanto riguarda i minori si osserva che solo in relazione al 2018 sono stati segnalati globalmente più di 110.000 bambini rifugiati non accompagnati e separati dai genitori e familiari.


venerdì 19 giugno 2020

DESI 2020: il ritardo digitale italiano


Il resoconto offerto dal Digital Economy and Society Index (DESI) del 2020, recentemente pubblicato dalla Commissione Europea, ci riporta che l’Italia occupa il terzultimo posto fra i 28 Stati membri dell’UE, con un punteggio pari a 43,6 (rispetto al dato medio UE del 52,6).
Il “Digital Economy and Society Index” è in buona sostanza un rapporto concepito su più indicatori: connettività, capitale umano, uso dei servizi di Internet da parte dei cittadini, integrazione e sviluppo delle tecnologie, digitalizzazione dei servizi pubblici. 
In altre parole, si tratta una attività di monitoraggio che la Commissione Europea realizza ogni anno attraverso l’analisi di “macroaree” mediante cui si analizzano “gli avanzamenti degli Stati membri: dalla connettività a banda larga passando per la digitalizzazione delle imprese e i servizi pubblici digitali”.
A parte i dati relativamente buoni sulla “Connettività”, in Italia continua a preoccupare il grave ritardo cognitivo descritto dall’indicatore “Capitale umano”, secondo cui, rispetto alla media UE, nel Belpaese i livelli di competenze digitali di base e avanzate “molto bassi”, risultano ulteriormente aggravati da un numero pressoché irrisorio di specialisti e laureati nel settore ICT “molto al di sotto della media UE”, con contraccolpi negativi sull’uso effettivo delle tecnologie, nonostante l’incremento totale di servizi e-Gov, che sembrano piuttosto essere strumenti di mero e formale adeguamento digitale, privi di concreta utilità pratica in ragione della mancata fruibilità generalizzata da parte della collettività. (cfr.: https://www.agendadigitale.eu/cittadinanza-digitale/desi-2020-il-punto-piu-basso-per-litalia-tutti-i-problemi-da-risolvere/).
Del resto, i dati ci dicono che solo il 42% dei cittadini italiani tra i 16 e i 74 anni dispone almeno di competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’UE) mentre solamente il 22% possiede competenze digitali superiori a quelle di base (a fronte del 33% nell’UE).


Si consideri, tra l’altro, che esiste un impressionante 17% di italiani che non ha mai usufruito di Internet, una percentuale pari quasi il doppio della media UE.
Per ciò che concerne i servizi pubblici digitali, l’Italia occupa il 19º posto della classifica, quindi sempre al di sotto della media europea ma non proprio in coda.
Tuttavia, nonostante queste buone prestazioni raggiunte in materia di e-Gov e OpenData, soltanto il 32% degli utenti italiani online usufruisce concretamente dei servizi offerti dalla P.A. (rispetto alla media UE del 67%).
Quali considerazioni possiamo fare allora?
L’indice DESI, alla fin fine, è una fotografia dell’Italia: un Paese in cui a livello di sistema (nella famiglia, nella Pubblica Amministrazione, nell’impresa) non è ancora sbocciato l’idillio per il digitale, o almeno non così profondo come nel resto d’Europa.
Ovviamente sarebbe troppo bello potersela prendere con gli altri, con l’euro, con l’Europa, con gli euroburocrati, con i cattivi tedeschi, con gli arroganti francesi, con i frugali olandesi, con i migranti e il Piano Kalergi, con i porti aperti, con il popolo LGBT e la mitica teoria “gender”, con la finanza mondiale, con chiunque tranne che con noi stessi.
E, invece, la responsabilità non può che essere nostra, esclusivamente nostra come singoli e come collettività.
E ogni sogno (rectius: incubo) nazionalista di chiuderci a riccio, come Stato e come popolo, ogni dichiarazione di leader sovranisti nostrani che auspicano dazi, confini e muri per risollevare la situazione italiana sono solo tessere di un puzzle che ci fanno sempre più allontanare da una vera presa di coscienza delle difficoltà e dei problemi che ci affliggono da decenni e ci sprofondano nella piccineria dell’autoassoluzione.
D’altro canto, come più volte evidenziato anche su queste pagine, la scienza e la tecnologia in Italia sono da sempre viste con sospetto: dal nucleare alla ricerca genetica, dai vaccini agli OGM, fino ad arrivare alle recenti questioni relative al 5G.
Il confronto costruttivo con l’Europa, con altri popoli, con altre culture e idee restano, a mio modesto avviso, l’unico modo per uscire dal torpore ed entrare finalmente nel XXI secolo.

mercoledì 17 giugno 2020

Il manifesto per il 5G


In un periodo di bufale e fake news, di paure irrazionali e fuorvianti richiami al principio di precauzione, trascrivo l'appello-manifesto promosso da diverse fondazioni e think tank, tra cui l'Istituto Bruno Leoni, per chiedere un'accelerazione sul 5G.


Ma prima una premessa.


“Il materiale da costruzione della paura è un pessimo materiale”, diceva il professor Giulio Giorello, filosofo e matematico; “Le paure possono produrre enormi castelli mentali che diventano incubi della società. Occorre capire perché si formino timori irrazionali verso la scienza, e bisogna farlo senza scavare fossati tra gli esperti e il pubblico”.


Sul 5G si è aperto un dibattito basato proprio sulla paura e sull'irrazionalità. E se è vero che circa 500 sindaci italiani stanno bloccando le necessarie infrastrutture sull'onda emotiva di cittadini (elettori) impauriti, allora anche la politica, oltre che la scienza e l'informazione, deve farsi carico di comunicare e dialogare, ma con fermezza, con la popolazione.


Questo il testo del manifesto sottoscritto da

Centro Economia Digitale


Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni


Fondazione Luigi Einaudi


Fondazione Magna Carta


Fondazione Guglielmo Marconi


Fondazione Aristide Merloni


Fondazione Adriano Olivetti


Fondazione Ottimisti&Razionali


Fondazione Prioritalia


Istituto Bruno Leoni


Istituto per la Competitività.


"Per mesi l’Italia ha combattuto il Coronavirus con il sacrificio e l’impegno di tutti e grazie al massiccio uso delle tecnologie digitali. Nell’emergenza abbiamo usato lo smart working nelle imprese e nelle amministrazioni, la didattica a distanza nelle scuole e nelle università, l’uso delle piattaforme per restare vicini a parenti e amici, l’accesso allo streaming tv per l’intrattenimento. Le aziende di telecomunicazione hanno contribuito alla tenuta economica, culturale e sociale del Paese. Ma nello stesso tempo sono emerse le carenze strutturali della nostra rete, in termini di copertura territoriale, capillarità, ricchezza di banda, dotazione diffusa di strumenti digitali nella popolazione.

Ora, nella ripartenza, è il momento di sfruttare le enormi potenzialità delle tecnologie, accelerare i tempi della ripresa e creare le basi della nuova società digitale, innanzitutto facendo una decisa scelta nella costruzione della generazione avanzata di reti wireless, chiamata 5G. Una tecnologia che consentirà la più ampia copertura dei territori, compresi i piccoli comuni, una maggiore capacità di connessione alle fonti di informazioni e dati, una connettività stabile e velocissima, l’internet delle cose, la remotizzazione della prevenzione e cura delle cronicità, la previsione dei grandi rischi naturali, l’automazione delle città e della mobilità. Generando così impatti estremamente positivi sull’economia, sul lavoro, sull’educazione, sulla cultura e l’intrattenimento, rendendo possibile per tutti una migliore qualità dell’accesso a Internet e contribuendo alla crescita e allo sviluppo.


Di fronte a questi traguardi, il Paese non può permettersi di rimanere indietro, in balia di pregiudizi immotivati, esitazioni conservatrici o inammissibili resistenze burocratiche.

Chiediamo dunque al Governo, alle istituzioni e alle forze politiche di promuovere un’azione di sistema per la creazione di una rete 5G solida e performante, che acceleri la rinascita dell’Italia, anche attraverso interventi normativi che accentrino le responsabilità delle autorizzazioni, garantendo adeguati limiti emissivi e liberando le diverse amministrazioni dall’assedio di posizioni irrazionali e antiscientifiche. Il 5G è un obiettivo necessario e urgente, va realizzato rapidamente per il futuro dell’Italia.".

sabato 13 giugno 2020

La legge 40, tra referendum e Corte Costituzionale




L'associazione Coscioni ci ricorda che il 12 e 13 giugno 2005 la Legge 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita fu oggetto del referendum popolare sull’abrogazione di buona parte dei divieti che andavano contro il diritto alla salute. Il quorum non fu raggiunto ma l’80% di chi votò scelse di cancellare le proibizioni su fecondazione assistita e ricerca sulle cellule staminali embrionali.

Negli anni, l’Associazione Luca Coscioni ha adito sia le giurisdizioni nazionali che quelle internazionali per rendere possibile la fecondazione eterologa, la fecondazione di più di tre gameti cancellando l’obbligo di contemporaneo impianto, l’accesso alla PMA per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche. 
Ad oggi resta il divieto di ricerca scientifica sugli embrioni non idonei per una gravidanza e su questo fronte si concentra la battaglia culturale e giuridica dell'Associazione.



Dice l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni, in occasione di questa ricorrenza: “Il sogno di poter stringere il proprio bimbo tra le braccia per centinaia di aspiranti mamme e papà venne infranto con un referendum boicottato da ingerenze della politica e del Vaticano.
Grazie alla determinazione di alcune coppie quella gioia è stata raggiunta successivamente, con le decisioni dei tribunali suscitate da azioni che, stando agli ultimi dati disponibili, (2017), hanno portato alla nascita di almeno 705 bambini grazie alla diagnosi preimpianto, per un totale di 14.000 nati all’anno con tutte le tecniche di PMA oggi in vigore in Italia.".
“Rispetto al 2005  –precisa l'Avv. Gallo–  siamo attivi a tutti i livelli per eliminare l’ultimo divieto del referendum, quello di ricerca scientifica sugli embrioni non idonei per una gravidanza e in generale per raggiungere l’obiettivo di una piena tutela del diritto alla salute, recentemente abbiamo ribadito al Governo l’urgente necessità di inserire la “Diagnosi Genetica Preimpianto” fra i Livelli Essenziali di Assistenza, un’azione necessaria per evitare aborti. Stiamo inoltre agendo sulle regioni perché promulghino la proroga del limite di età attualmente previsto. Per ora solo Campania, Lazio e Toscana hanno reagito positivamente. Inoltre abbiamo chiesto la possibilità del rimborso ai donatori di gameti; l’aggiornamento in modo chiaro della parte dei LEA relativa alle prestazioni di Procreazione Medicalmente Assistita e che le tabelle sui costi siano corrispondenti ai reali costi delle tecniche avanzate di PMA, allo stato attuale non effettivamente erogabili.
Infine di erogare tecniche eterologhe e indagini preimpianto anche nel pubblico.”.




Considerata l’inerzia del Parlamento, anche sulla scorta dell’intervento della Corte Costituzionale nel 2016, l’Associazione Luca Coscioni tornerà innanzi al Tribunale di Roma per chiedere che embrioni non idonei per una gravidanza possano essere donati alla ricerca. A questo punto, la Corte Costituzionale potrebbe ritornare su di un tema che era stato ammesso anche nei referendum del 2005.
Ma l’inerzia del Parlamento non si risolve solo nel non riscontrare la Corte Costituzionale e le tante coppie, ma si concretizza anche nel non conformare la legge 40 alle Raccomandazioni  emesse dal Comitato per diritti economici, sociali e culturali, Nazioni Unite, a seguito di procedimento presentato per una coppia in relazione alla violazione del diritto alla salute riproduttiva violato dalla legge  40/2004.


giovedì 11 giugno 2020

I tempi della burocrazia di "Immuni"



Nel post precedente abbiamo analizzato il lavoro dottrinale svolto dall’Università Cattolica su “Immuni” evidenziando come proprio l’efficacia fosse il tallone di Achille dell’applicazione smartphone (cfr. https://avvocatisquillaciotigrillo.blogspot.com/2020/06/app-immuni-lo-studio-della-cattolica.html).

In questo articolo ribadiamo il concetto sulla scorta di un dato squisitamente normativo: il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 3 giugno 2020, rubricato “Modalità tecniche per il coinvolgimento del Sistema tessera sanitaria ai fini dell’attuazione delle misure di prevenzione nell’ambito delle misure di sanità pubblica legate all’emergenza COVID-19″ e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il successivo 8 giugno 2020.

Quello che salta immediatamente all’occhio è la (lunga) tempistica prevista.

La norma stabilisce le modalità di interazione tra il Sistema di allerta Covid-19, cioè la cd. App “Immuni” che fa capo al Ministero della Salute, con il «Sistema TS», ossia il sistema informativo di cui è titolare, invece, il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Nel dettaglio, la disposizione dispone che in caso di esito positivo di un tampone, l’operatore sanitario debba contattare il paziente per effettuare l’indagine epidemiologica e verificare anche l’eventuale installazione dell’App del Sistema di allerta Covid-19. Se il paziente ha installato “Immuni”, gli sarà richiesto di aprirla e di utilizzare la funzione di generazione del codice OTP. Il paziente, a questo punto, comunica i 10 caratteri del codice OTP all’operatore sanitario e attende l’autorizzazione a procedere con le ulteriori attività sull’app. L’operatore sanitario, secondo le modalità descritte nell’Allegato A che costituisce parte integrante del citato decreto, accede al Sistema TS con le credenziali in suo possesso e inserisce i dati indicati dal paziente.


L’allegato al Decreto si preoccupa anche, per quel che qui interessa, di indicare le tempistiche di implementazione e, all’uopo, stabilisce che “…al fine di rinforzare le misure di sicurezza adottate dal Sistema TS, di seguito si riporta una sintesi degli interventi che saranno attuati e delle relative tempistiche: in aggiunta alle normali credenziali (ID utente e password), assegnazione del pincode come ulteriore fattore di autenticazione a tutti gli utenti che ancora non ne sono dotati (entro sessanta giorni dalla data di adozione del decreto); implementazione dell’autenticazione a 2 fattori con OTP temporaneo (entro novanta giorni dalla data di adozione del decreto); introduzione delle asserzioni SAML per i sistemi regionali necessarie per l’autenticazione per l’accesso al Sistema TS (entro novanta giorni dalla data di adozione del decreto).”.

In buona sostanza, e al di là del burocratese e del legalese, l’applicazione “Immuni”, per poter funzionare sui telefonini degli italiani e interagire con il sistema sanitario nazionale e con il sistema informativo del MEF, galleggerà nel limbo per almeno novanta giorni.

In coda, si evidenzia che difetta ad oggi qualsivoglia riferimento normativo che indichi cosa accada al titolare dello smartphone dopo l’allerta inviata dall’app “Immuni”, con l’effetto pratico che l’allertato dovrebbe porsi in auto-isolamento; non esiste, infine, alcun ragguaglio rispetto ai tempi di sottoposizione al tampone per chi abbia ricevuto l’allerta dall’app.

 


App Immuni: lo studio della Law Clinic




Sul sito dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ieri è stato pubblicata un’analisi dal punto di vista giuridico della app “Immuni” a cura del Professore Gabriele Della Morte, docente di Diritto internazionale nella facoltà di Giurisprudenza, insieme con gli studenti della Law Clinic di Diritto internazionale.
Partendo dal dato tecnico si precisa che la app  -proposta dalla società italiana “Bending Spoons” e scelta dal Governo italiano-  sfrutta la tecnologia Bluetooth Low Energy; per cui è possibile rilevare la vicinanza tra due smartphone e rintracciare, in modo anonimo, i contatti di una persona risultata positiva al Covid-19 al fine di individuare i potenziali contagiati.
Da un punto di vista operativo si ribadisce che l’installazione è su base gratuita, volontaria e accessibile agli individui maggiori di 14 anni. App “Immuni” può essere rimossa dal proprio dispositivo in qualsiasi momento e ciò cancella dal sistema anche tutti i dati raccolti.



Ma come funziona in pratica? “Nel caso in cui il proprietario dello smartphone risulti positivo potrà (facoltativamente) caricare sul server pubblico (Sogei, gestito dal Ministero delle finanze) attraverso l’assistenza di un operatore sanitario i codici casuali che il proprio dispositivo ha generato nel corso dei giorni precedenti. “Immuni” controlla periodicamente i codici presenti sul server e li confronta con quelli salvati sul dispositivo dell’utente. In questo modo l’algoritmo dell’app determina se l’utente sia stato esposto a un potenziale contagio. In caso di risposta affermativa, avverte l’utente di mettersi in contatto con gli operatori sanitari al fine di affrontare secondo i protocolli opportuni le fasi successive.”.
Ciò posto, occorre ricordare che in Italia così come negli altri Stati membri dell’Unione europea sono possibili limitazioni della tutela dei dati personali nelle ipotesi in cui dette compressioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di tali diritti, perseguano scopi d’interesse generale e siano necessarie e proporzionali (cfr. art. 52 della Carta di Nizza e art. 23 del GDPR).
Secondo lo studio dell’Università Cattolica la soluzione italiana si contraddistingue positivamente per: l’opzione del sistema meno invasivo (Bluetooth); la volontarietà del ricorso all’app; il trattamento di dati sostanzialmente anonimi; la struttura pubblica e decentralizzata della gestione dei medesimi e la caratteristica open source del codice. Quindi lo studio considera superato il test di necessità stante il primario interesse pubblico alla sanità e la scelta della soluzione meno invadente.
In relazione al test di proporzionalità e all’efficacia sostanziale della app, invece, permangono, anche secondo il prof. Della Morte, fondamentali zone d’ombra.
Infatti, precisa il docente universitario: “Combinando i dati dell’Università di Oxford – secondo la quale l’efficacia dell’app è subordinata all’adesione di almeno il 60% della popolazione (in tal senso anche il Garante italiano per la protezione dei dati personali) – con quelli analizzati dal Censis – ai sensi dei quali i possessori di smartphone corrispondono al 73,8% degli italiani – appare chiaro che l’app debba essere scaricata dalla quasi totalità dei proprietari di smartphone. Se a ciò si aggiungono l’anzianità della popolazione italiana, la scarsa digitalizzazione della stessa, la non obbligatorietà della app e, da ultimo, la circostanza per cui senza uno smartphone compatibile non si può adoperare l’app (solo i dispositivi apple che supportano una versione di iOS pari o superiore alla 13.5 o di Android pari o superiore alla 6 possono scaricare la medesima), non è difficile immaginare una diffusione decisamente limitata.”.
E ancora: “In particolare, risulta altamente improbabile che venga raggiunta una copertura idonea ad un corretto funzionamento e tale circostanza non può non incidere sul bilanciamento complessivo. La valutazione complessiva dell’app “Immuni” deve risentire pertanto di un approccio ‘olistico’ fondato, in particolare, sulle cd. ‘tre t’: accanto al tracciamento dei contagi (tracing), occorre garantire un numero di tamponi adeguato (testing) oltre al trattamento sanitario dei contagiati (treatment).”.
Insomma, come già rilevato anche in precedenti articoli su questo blog (cfr. https://avvocatisquillaciotigrillo.blogspot.com/2020/06/immuni-efficacia-integrita-dei-dati-e.html) il problema principale resta sempre quello della efficacia sostanziale della app.



Per approfondire: https://www.cattolicanews.it/giuridicamente-immuni-vantaggi-e-dubbi-sull-efficacia-dell-app

lunedì 8 giugno 2020

OCF: una proposta per la Giustizia



"La condizione della macchina giudiziaria del nostro Paese ha raggiunto uno dei livelli più critici della storia repubblicana. Il sistema giudiziario italiano, già da decenni in grande difficoltà nel dare adeguata risposta alla domanda di Giustizia della società, dei cittadini e delle imprese, in questi ultimi mesi, oltre alle gravissime ripercussioni derivanti dall’adozione delle misure di profilassi per l’epidemia di “coronavirus”, è stato colpito dalle accelerazioni di fenomeni degenerativi che ne stanno minando la credibilità già messa a dura prova dalla sua cronica e nota inefficienza.
La crisi e le problematiche che ne derivano appaiono interconnesse e stanno provocando, oltre ad una seria delegittimazione della funzione giurisdizionale, un inammissibile impoverimento delle tutele approntate dalla nostra Costituzione che, in particolare per le ripercussioni nei confronti del sistema imprenditoriale italiano (tanto più in un periodo di 
crisi) e degli strati più deboli della nostra società, rischia di investire e mettere in discussione la credibilità e il senso più profondo della nostra Democrazia.
Si tratta di una situazione le cui ragioni sono ampiamente note e rispetto alla quale l’Avvocatura è ben consapevole delle difficoltà che si frappongono ad interventi sistematici di soluzione, ma che richiede di essere affrontata immediatamente e senza ulteriori indugi, con un vero e proprio “Piano straordinario per la Giustizia Italiana”.
Oggi invece la nostra Giustizia è paralizzata, non accessibile e ostaggio di profonde distorsioni di sistema.".
Questo è l'incipit del DOCUMENTO PER LA RIPRESA DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA che l'Organismo Congressuale Forense ha pubblicato l'8 giugno 2020 per sollecitare al confronto tutte le istituzioni e le associazioni forensi, per avviare una campagna di comunicazione, organizzare una manifestazione nazionale, segnalare la situazione al Presidente della Repubblica, sensibilizzare l'opinione pubblica, richiedere risorse immediate a Parlamento e Governo, ridare dignità alla funzione di difesa.
Il documento prevede tre linee d'azione: 1) innanzitutto il superamento della paralisi giudiziaria con la ripresa immediata della attività in presenza, previa messa in sicurezza degli uffici, limitando la telematica a casi specifici; 2) poi strumenti a tutela dell'effettività del servizio giustizia: equo compenso, minimi tariffari, fiscalità di sostegno; 3) infine superamento della attuale delegittimazione della giustizia attraverso la partecipazione dell'Avvocatura alla riforma del CSM, la separazione delle carriere e il rafforzamento della presenza degli avvocati nei ruoli dirigenziali della giurisdizione e nei ruoli direttivi ministeriali.
Di particolare rilievo anche questo passaggio su questioni che più volte abbiamo trattato su queste pagine: "...si rende inoltre necessario affrontare in modo definitivo la questione 
della separazione delle carriere dei magistrati (oggi all’ordine del giorno del Parlamento). 
Si tratta di una riforma necessaria per ristabilire i principi di parità delle parti e di terzietà del Giudice nel settore penale; e al contempo occorre la ripresa dell’iniziativa per una nuova 
disciplina della prescrizione in sede penale e per la realizzazione di tutte quelle misure proposte dall’Avvocatura per la ragionevole durata del processo penale e per la razionalizzazione dei tempi del processo civile.".
La Giustizia, insieme alla Scuola, sono state le Cenerentole di questa convulsa fase pandemica ma sono i settori su cui più puntare per una rinascita vera del Paese.

sabato 6 giugno 2020

Discriminazione dei disabili e Associazione Coscioni


La legge 67 del 2006, rubricata "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni" e pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 6 marzo 2006, n. 54, sancisce il diritto di chi vive una condizione di disabilità a non essere discriminato e prevede che il Tribunale civile ordinario competente per territorio possa ordinare la cessazione di un atto o di un comportamento che lo discrimina.  
Sì ha discriminazione quando una prassi, un provvedimento involontario o un comportamento in apparenza neutro mettono una persona disabile in una posizione di svantaggio rispetto agli altri. Richiamando esplicitamente l’art. 3 della Costituzione, l’art.1 della legge 67/2006 si prefigge di garantire la “piena attuazione” della Legge 104/1992, al cui articolo 3 viene definito disabile “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”. 
La norma individua due forme di discriminazione.
Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in situazione analoga. Si ha, invece, discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono un soggetto con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto alle altre persone.

Sulla scorta di questa normativa e a tutela dei diritti dei disabili si segnala l'attività svolta da sempre dall'Associazione Luca Coscioni.
L'azione giudiziaria, promossa appunto dall’Associazione a supporto di due disabili, e che qui si riassume brevemente, prende le mosse dalla inaccessibilità delle spiagge e del mare per tutti coloro che si spostano con l’ausilio della sedia a ruote nel comune di Sperlonga.
Il Tribunale di Latina, con provvedimento pubblicato lo scorso 4 giugno, ha accertato che nel territorio comunale alle persone con disabilità non viene garantita la totale accessibilità e visitabilità delle spiagge libere e dei 56 stabilimenti balneari presenti sul Lungomare. Una situazione fonte di grave discriminazione nei confronti delle persone con ridotta o impedita capacità motoria, che rende ingiusto e immeritato il conferimento della Bandiera Blu al Comune sperlongano per il 24esimo anno consecutivo.

Il Giudice, inoltre, ha condannato l’ente comunale a compiere entro due mesi tutta una serie di opere e infrastrutture al fine di rendere accessibili alcuni tratti di spiaggia e di mare. In particolare il Comune di Sperlonga dovrà realizzare rampe di accesso agli stabilimenti, alle spiagge e al mare, modificare la pendenza di alcune passerelle, istituire parcheggi adatti alle persone con disabilità e collegare questi ultimi alle spiagge con appositi percorsi, disporre camminamenti orizzontali e trasversali sulla sabbia, dotare alcuni tratti di arenile di sedie job, sistemare i servizi igienici e migliorare i percorsi di collegamento degli stessi con la spiaggia.
“Questa decisione giudiziaria fotografa per l’ennesima volta l’assenza in ambito di amministrazione pubblica di un’efficiente programmazione di abbattimento delle barriere architettoniche e messa a disposizione per tutti di tutti i servizi che una comunità offre, come previsto dalla legge –ha dichiarato il Coordinatore delle iniziative sulla disabilità dell’Associazione Luca Coscioni, Rocco Berardo-. L’Italia se vuole avere davvero una “rinascita” può e deve partire da un grande investimento infrastrutturale sull’accessibilità”. 

 

giovedì 4 giugno 2020

La separazione delle carriere: la proposta di UCPI


L'Avv. Gian Domenico Caiazza, Presidente UCPI, nei giorni scorsi sulla sua pagina Facebook ha scritto un post dal titolo "SEPARAZIONE DELLE CARRIERE, LA RIFORMA POSSIBILE".


Il tema è complesso ma provo a sintetizzare e, soprattutto, a ragionare sull'importanza di quanto fatto dall'Unione delle Camere Penali.


Il percorso di democrazia e politica degli Avvocati penalisti il 29 giugno prossimo approda nell’Aula della Camera dei Deputati: la proposta di legge di iniziativa popolare di riforma dell’ordinamento giudiziario, promossa dall’Unione Camere Penali Italiane, giunge alla fase conclusiva di un cammino iniziato più di tre anni fa dalla Giunta UCPI allora presieduta da Beniamino Migliucci, che "volle sfidare la capacità dei penalisti italiani di raccogliere, in perfetta solitudine e senza sinergie con altri soggetti politici (ad eccezione del fondamentale contributo di know how fornitoci dal Partito radicale trans-nazionale) le necessarie firme certificate di almeno 50mila cittadini italiani, a sostegno di una proposta di legge molto tecnica e dunque di non facile o comunque non scontata comprensione.".

"Quelle 72mila firme certificate ci hanno dato il segno non solo di quanto quelle nostre idee fossero popolari e condivise, ma anche di come si fosse definitivamente affermata la nostra realtà di soggetto politico." dice Caiazza.


Non è, a mio parere, un passaggio banale; anzi è un tema che potrà rivelarsi fondamentale per il futuro non solo dell'Avvocatura ma delle stesse democrazia e libertà in Italia.

"La proposta di riforma configura una radicale riscrittura dell’ordinamento giudiziario, con l’obiettivo cruciale di separare le carriere dei magistrati del Pubblico Ministero da quelle dei giudici.".

Caiazza scrive a chiare lettere, inoltre, che la proposta di riforma non prevede assolutamente un Pubblico Ministero posto alle dipendenze dell’esecutivo.


Sarebbe questo il comodo alibi dietro cui gli oppositori della riforma potrebbero nascondersi per buttare fumo negli occhi.


Ad onor del vero, ci ricorda il Presidente UCPI, un assetto ordinamentale del genere è previsto nelle più grandi democrazie occidentali; infatti Francia, Stati Uniti, Inghilterra vivono con pienezza la propria vita democratica pur avendo un Pubblico Ministero dipendente dal potere esecutivo.


Tuttavia, tiene a precisare Caiazza "noi non abbiamo scelto quel modello, che richiede una cultura democratica ben più robusta di quella che purtroppo ci appartiene, ed abbiamo perciò blindato la assoluta indipendenza della magistratura inquirente dal potere esecutivo.".

Lo dico con amarezza, ma questo è semplicemente lo scotto che dobbiamo ancora pagare per i nostri trascorsi totalitari. La nostra fragilità democratica, la mancanza di cultura della libertà si faranno sentire per molto tempo ancora.

Ma perché è fondamentale la separazione delle carriere?


A mio modesto avviso ce lo imporrebbe semplicemente il "giusto processo" e la parità effettiva e sostanziale tra le parti innanzi ad un giudice terzo.


E poi, senza neanche scomodare troppo la teoria, ce lo dimostra la cronaca "giudiziaria" di questi giorni e le intercettazioni pubblicate su tutti i quotidiani sul cd. "Caso Palamara", che non è un caso isolato ma è la dimostrazione della debolezza, anche etica, di un sistema.


Un sistema, quello attuale, che non è più capace di reggere; la stessa sproporzione, negli organismi elettivi della Magistratura, in favore dei PM e a discapito dei Giudici è significativo di una distorsione della rappresentanza e rappresentazione dei veri rapporti di forza e di potere.


E allora conclude l'Avv. Caiazza: "Separare le carriere e impedire i distacchi di magistrati presso l’esecutivo sono la sola via di uscita per recuperare gli equilibri costituzionali che la giurisdizione ha da tempo smarrito. Sogniamo un Paese dove il Giudice dia il Lei all’avvocato ed al Pubblico Ministero con il medesimo, severo distacco; e dove le sorti dei cittadini e delle istituzioni siano affidate non alle indagini delle Procure, ma alle sentenze dei Giudici.".


Il passaggio successivo sarà proprio quello di far capire ad un popolo giustizialista la differenza tra informazione di garanzia e sentenza.


Ma questo è un discorso a parte...


👭 Congedo obbligatorio di paternità nelle coppie omosessuali femminili (Parte II)

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