DESI 2020: il ritardo digitale italiano


Il resoconto offerto dal Digital Economy and Society Index (DESI) del 2020, recentemente pubblicato dalla Commissione Europea, ci riporta che l’Italia occupa il terzultimo posto fra i 28 Stati membri dell’UE, con un punteggio pari a 43,6 (rispetto al dato medio UE del 52,6).
Il “Digital Economy and Society Index” è in buona sostanza un rapporto concepito su più indicatori: connettività, capitale umano, uso dei servizi di Internet da parte dei cittadini, integrazione e sviluppo delle tecnologie, digitalizzazione dei servizi pubblici. 
In altre parole, si tratta una attività di monitoraggio che la Commissione Europea realizza ogni anno attraverso l’analisi di “macroaree” mediante cui si analizzano “gli avanzamenti degli Stati membri: dalla connettività a banda larga passando per la digitalizzazione delle imprese e i servizi pubblici digitali”.
A parte i dati relativamente buoni sulla “Connettività”, in Italia continua a preoccupare il grave ritardo cognitivo descritto dall’indicatore “Capitale umano”, secondo cui, rispetto alla media UE, nel Belpaese i livelli di competenze digitali di base e avanzate “molto bassi”, risultano ulteriormente aggravati da un numero pressoché irrisorio di specialisti e laureati nel settore ICT “molto al di sotto della media UE”, con contraccolpi negativi sull’uso effettivo delle tecnologie, nonostante l’incremento totale di servizi e-Gov, che sembrano piuttosto essere strumenti di mero e formale adeguamento digitale, privi di concreta utilità pratica in ragione della mancata fruibilità generalizzata da parte della collettività. (cfr.: https://www.agendadigitale.eu/cittadinanza-digitale/desi-2020-il-punto-piu-basso-per-litalia-tutti-i-problemi-da-risolvere/).
Del resto, i dati ci dicono che solo il 42% dei cittadini italiani tra i 16 e i 74 anni dispone almeno di competenze digitali di base (rispetto al 58% nell’UE) mentre solamente il 22% possiede competenze digitali superiori a quelle di base (a fronte del 33% nell’UE).


Si consideri, tra l’altro, che esiste un impressionante 17% di italiani che non ha mai usufruito di Internet, una percentuale pari quasi il doppio della media UE.
Per ciò che concerne i servizi pubblici digitali, l’Italia occupa il 19º posto della classifica, quindi sempre al di sotto della media europea ma non proprio in coda.
Tuttavia, nonostante queste buone prestazioni raggiunte in materia di e-Gov e OpenData, soltanto il 32% degli utenti italiani online usufruisce concretamente dei servizi offerti dalla P.A. (rispetto alla media UE del 67%).
Quali considerazioni possiamo fare allora?
L’indice DESI, alla fin fine, è una fotografia dell’Italia: un Paese in cui a livello di sistema (nella famiglia, nella Pubblica Amministrazione, nell’impresa) non è ancora sbocciato l’idillio per il digitale, o almeno non così profondo come nel resto d’Europa.
Ovviamente sarebbe troppo bello potersela prendere con gli altri, con l’euro, con l’Europa, con gli euroburocrati, con i cattivi tedeschi, con gli arroganti francesi, con i frugali olandesi, con i migranti e il Piano Kalergi, con i porti aperti, con il popolo LGBT e la mitica teoria “gender”, con la finanza mondiale, con chiunque tranne che con noi stessi.
E, invece, la responsabilità non può che essere nostra, esclusivamente nostra come singoli e come collettività.
E ogni sogno (rectius: incubo) nazionalista di chiuderci a riccio, come Stato e come popolo, ogni dichiarazione di leader sovranisti nostrani che auspicano dazi, confini e muri per risollevare la situazione italiana sono solo tessere di un puzzle che ci fanno sempre più allontanare da una vera presa di coscienza delle difficoltà e dei problemi che ci affliggono da decenni e ci sprofondano nella piccineria dell’autoassoluzione.
D’altro canto, come più volte evidenziato anche su queste pagine, la scienza e la tecnologia in Italia sono da sempre viste con sospetto: dal nucleare alla ricerca genetica, dai vaccini agli OGM, fino ad arrivare alle recenti questioni relative al 5G.
Il confronto costruttivo con l’Europa, con altri popoli, con altre culture e idee restano, a mio modesto avviso, l’unico modo per uscire dal torpore ed entrare finalmente nel XXI secolo.

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