L'analisi del voto referendario


 

Mi accingo a scrivere, a caldo, con un certo senso di disagio sui referendum abrogativi in materia di giustizia.

Un popolo come quello italiano che, sui social, è in grado di discettare con sicumera di geopolitica, medicina, virologia, architettura, ingegneria, fisica nucleare, genetica ecc... sulle questioni dei diritti e della giustizia, invece, si palesa timido e, addirittura, dichiara ad alta voce di non aver compreso i quesiti e, in fondo, di non aver neanche avuto voglia di capirne qualcosa in più.

Un popolo come quello italiano che, sempre sui social, proclama la sua scarsa stima per i politici di professione ed i parlamentati eletti, quando ha la possibilità di poter determinare direttamente l’abrogazione di una legge, e quindi, di agire egli stesso come legislatore, dichiara ad alta voce che le leggi le devono fare solo i politici che sono pagati profumatamente proprio per questo.

Ebbene, questo popolo ieri, in larga misura, ha deciso di rinunciare ad esprimere il proprio parere proprio laddove è più importante, con la matita sulla scheda elettorale.

Eppure, se è vero  -come ampiamente denunciato da più parti-  che non vi è stata una ampia e approfondita analisi dei quesiti referendari sulla RAI e sul servizio pubblico è anche vero che, al di là dei tecnicismi e della complessità dei testi presenti sulle schede, la questione di fondo che poneva la scelta tra sì e no era abbastanza chiara: ottenere una giustizia più liberale e più aderente allo spirito della nostra Costituzione o lasciare tutto com’è ritenendo che l’amministrazione della giustizia in Italia vada bene e non abbia bisogno di miglioramenti.

Attraverso il referendum la sovranità popolare può rettificare o arricchire, correggere ed indirizzare le scelte politiche espresse dalle assemblee legislative, introducendo nell’ordinamento esigenze o istanze presenti nel corpo sociale ma non convenientemente rappresentate: evidentemente ai cittadini italiani vanno bene le correnti nella Magistratura che pilotano le nomine nelle procure più importanti, l’abuso della carcerazione preventiva nei confronti di migliaia di innocenti e i relativi costi economici e sociali di tali errori, il pubblico ministero che può diventare giudice e viceversa, il commissariamento di comuni e regioni per indagini che poi si rivelano un flop…

Se si scorre l’elenco di tutti i referendum abrogativi che si sono tenuti in Italia a partire da quello storico sul divorzio del 1974, si può verificare che su 67 referendum abrogativi abbiamo avuto un’affluenza media del 52%: 39 hanno superato il quorum e 28 no. Dei 39 quesiti che hanno superato il quorum, in 23 hanno vinto i Sì (e quindi c’è stata effettivamente l’abrogazione della legge o della porzione di legge indicata nel quesito) e in 16 i No (fonte youtrend.it).

Si aggiunga che lo strumento referendario  -che si trattasse di accesso dei cacciatori a fondi privati, di abolizione del sistema di progressione in carriera dei magistrati o dell’ordine dei giornalisti, di abolizione degli incarichi extragiudiziari dei magistrati o dei limiti alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni, di abolizione di limiti all’accesso alla procreazione medicalmente assistita o del divieto di fecondazione eterologa ma anche di abolizione della norma che aveva cancellato la scala mobile fino ad arrivare al quesito sulle trivelle del 2016-  è stato invocato ed attivato dai promotori davvero sui temi più diversi, insomma non solo su temi etici e trasversali agli schieramenti politici ma anche su norme il cui grado di tecnicismo era abbastanza elevato e su cui la popolazione si è comunque pronunciata, con esiti alterni, in maniera diretta.

Ma dati così bassi di affluenza alle urne come in questo 12 giugno 2022 non si erano mai visti ed è una questione che necessita sicuramente di ulteriori approfondimenti ed indagini. 

Sempre ricordando i dati storici, va sottolineato un altro elemento che in questa tornata sicuramente riveste i caratteri dell’attualità ed è stato, a parere di molti, certamente rilevante nel mancato raggiungimento del quorum, ossia che la Corte Costituzionale dal 1978 ad oggi ha dichiarato inammissibili oltre trecento quesiti referendari e solo quest’anno ha bocciato i quesiti sulla responsabilità diretta dei Magistrati, quello sull’eutanasia e quello sulla cannabis, indubitabilmente argomenti che avrebbero potuto smuovere soprattutto tanti cittadini e, tra questi, i più giovani.

Dice Marco Perduca dell’Associazione Luca Coscioni che “…le sentenze della Consulta hanno agglutinato talmente tante “complessità” e “criticità” “verosimili” contro i quesiti bocciati da dimenticarsi delle vere eccezioni previste dalla Carta per cui un referendum non è presentabile. Una decisione che in altri tempi sarebbe stata qualificata “da chierici”, una decisione che oltre a essere inappellabile ha inferto un colpo a chi li aveva promossi dando loro degli incompetenti e truffatori…”.

In altre parole, secondo Perduca, la Corte costituzionale ha reso impossibile il voto agli unici due referendum realmente popolari – eutanasia e cannabis – con sentenze che hanno “mistificato le intenzioni dei proponenti e avanzato critiche di costituzionalità sulla normativa che a suo parere sarebbe risultata a seguito della vittoria dei Sì. Un compito non suo”.

Partendo dall’assunto che il seggio elettorale può essere un (ulteriore) luogo di lotta politica a tutto tondo e quindi uno spazio che può essere sfruttato a favore del referendum come istituzione prima ancora che dei quesiti referendari su cui, nello specifico, si vota, i Comitati promotori dei referendum Eutanasia e Cannabis hanno promosso un’iniziativa politica pacifica per denunciare la gravità di quanto accaduto contro la Costituzione italiana con la bocciatura dei referendum, anche per scongiurare il ripetersi in futuro di decisioni di tale gravità.

In sintesi: poiché il diritto al voto popolare non è stato garantito dalle istituzioni gli attivisti hanno rilasciato una dichiarazione a tutti i Presidenti dei seggi elettorali dove si sono recati e da mettere formalmente a verbale per stigmatizzare quanto accaduto. 

Questo il testo: “Non mi sarà permesso di votare i referendum in materia di eutanasia e di cannabis, promossi per la prima volta dopo oltre 10 anni con le firme dei cittadini, perché la Corte costituzionale li ha dichiarati inammissibili con motivazioni arbitrarie e in contrasto con quanto previsto dall’articolo 75 della Costituzione. Questa ennesima negazione del diritto a esercitare la sovranità popolare mediante referendum va contro gli obblighi internazionali della Repubblica italiana e prefigura una violazione dei diritti civili e politici delle cittadine cittadini del nostro Paese”.


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