Presunzione di innocenza: da Beccaria al D.Lgs. 188/2021

 


Nel lontano 1764 Cesare Beccaria, nell’opera “Dei delitti e delle pene”, già affermava che “un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violato i patti coi quali le fu accordata.”.

Questo principio accolto anche nella nostra Costituzione repubblicana è stato tra i più bistrattati e vilipesi da almeno trenta anni a questa parte, quanto meno, quindi, a partire da quel fenomeno mediatico giudiziario che fu Tangentopoli.

Dopo decenni di tale malcostume, cavalcato anche da buona parte del ceto politico meno avveduto e più populista, e i tanti casi di cattiva cronaca giudiziaria che spesso hanno causato tragedie umane e familiari, dovrebbe imporsi una particolare cautela e attenzione al principio di presunzione di innocenza e una feroce critica all’opposto fenomeno della gogna mediatica.

Scorrendo la Relazione annuale del Garante per la protezione dei dati personali, presentata alla stampa nei mesi scorsi, emerge, invece, che gogna mediatica, presunzione di innocenza, diritto alla privacy per le categorie più vulnerabili, diritto all’oblio sono proprio tra i temi più importanti affrontati e sanzionati in materia di dati personali.

Proprio il Presidente Stanzione, nel corso della presentazione alla stampa del documento, aveva avuto modo di rimarcare: “Rispetto alla dignità delle persone soggette a misure coercitive il Garante ha riscontrato, anche quest’anno, diverse violazioni da parte dei media, tanto più gravi in quanto riguardano la persona – qualunque reato abbia commesso – in un momento di tale vulnerabilità.”.

Stanzione ha, poi, aggiunto: “Mai come in relazione a questi aspetti il giornalismo deve assolvere al suo alto dovere di informazione nel rispetto del canone di essenzialità, senza cedere alla tentazione della spettacolarizzazione e del sensazionalismo che rischia di far degenerare la pietra angolare delle democrazie (la libertà d’informazione, appunto), in gogna mediatica. Lo ha ben ricordato il Presidente della Corte costituzionale, con riferimento alla più ampia esigenza di rispetto, nell’ambito della cronaca giudiziaria, della presunzione d’innocenza in favore degli indagati.”.

Questo per quanto attiene il giornalismo

Per quanto concerne, invece, le autorità pubbliche che si trovano a confrontarsi con il principio di presunzione di innocenza, vale la pena segnalare che il 14 dicembre scorso è entrato in vigore il decreto legislativo 8 novembre 2021, n°188 che introduce “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”.

L’art. 2 della citata norma introduce il “divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. In caso di violazione di tale divieto, la norma prevede il diritto di rettifica in capo all’interessato, ferme restando le sanzioni penali e disciplinari e il risarcimento del danno.

L’art. 3 prevede le modalità di diffusione al pubblico delle informazioni concernenti i procedimenti penali, diffusione che deve avvenire “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”. Identiche modalità di comunicazione delle notizie rilevanti sono previste nei confronti degli ufficiali di polizia giudiziaria, previa autorizzazione del Procuratore.

Poi, la norma prescrive le condizioni per la diffusione delle notizie, che è permessa solo “quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico” e “in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.

L’art. 4, soprattutto, inserisce nel codice di procedura penale l’art. 115 bis, rubricato “Garanzia della presunzione di innocenza”. La norma prescrive per l’autorità giudiziaria un duplice obbligo nella redazione dei provvedimenti in materia penale: “nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato” l’obbligo di non indicare l’indagato o l’imputato “come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”, “nei provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato, che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza” l’obbligo di limitare “i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”.

Come evidenzia Gian Marco Baccari, Professore Associato di Diritto processuale penale all’Università di Siena, su “Il quotidiano giuridico” del 30 novembre 2021, “il testo definitivo del D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 188 … è, comunque, un atto normativo importante per almeno due ordini di motivi. In primo luogo, si impone una migliore professionalità e un nuovo “costume” giudiziario maggiormente orientato al rispetto di quelle garanzie fondamentali consacrate nella “presunzione di innocenza” dell’imputato (artt. 6, comma 2 CEDU e 27, comma 2 Cost.). Inoltre, si tratta di una presa di posizione culturale netta, sulla connotazione chiaramente negativa di certe espressioni di giustizialismo propagandate da coloro che, sui media, “cavalcano” procedimenti penali ancora pendenti.”.

Siamo sicuramente molto lontani da una normativa che salvaguardi completamente la dignità umana dell’indagato, ma alcuni passi sono stati sicuramente fatti.

Resta il problema culturale e politico, difficile da scalfire solo con le leggi e le tutele apprestate dal diritto ma è certamente l’inizio di un percorso, faticoso ma necessario.


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