Le due storie di Miriam


Quella appena trascorsa è stata una settimana interessante, quanto meno in materia di dibattito pubblico sulla giustizia.
Si è passati con disinvoltura dal processo breve, anzi brevissimo, celebrato via citofono e in pubblica piazza al processo lungo, forse eterno, senza prescrizione e senza tempi certi per gli imputati ma anche per le vittime dei reati.
In questa mirabile manciata di giorni di campagna elettorale per le regionali di Calabria ed Emilia Romagna, abbiamo avuto la conferma che se per strada il "popolo" (non la Magistratura) ti addita come colpevole di gravi reati chiunque, meglio se ex Ministro dell'Interno, può entrare a casa tua, nella tua intimità familiare, e graziosamente concederti l'opportunità di dimostrare che sei innocente, tu e la tua famiglia. Obbligatoriamente davanti alle telecamere e al tribunale speciale del popolo...
Poi, abbiamo anche appreso dal Ministro della Giustizia che non esistono gli errori giudiziari, che gli innocenti non vanno mai in carcere, che non esiste l'ingiusta detenzione, che non esiste nemmeno l'ingiustizia...
Soprattutto abbiamo avuto conferma che queste cose piacciono agli italiani, ai follower, alla gente di Twitter, Facebook e Instagram.
Siamo fatti così: lo stato di diritto è opzionale, il giusto processo è una perdita di tempo (a meno che non sia celebrato in televisione), nel carcere bisogna marcire e le chiavi devono essere buttate.
Volevo scrivere di dati, di numeri, di sentenze e di analisi.
Ma non lo farò.
Non serve che a ingolfare il dibattito.
E allora vi racconto una storia in due parti che viene dal passato, dai mitici anni '80, ma ancora terribilmente attuale.
Prima parte:
la storia di Miriam inizia il 9 aprile 1989. E’ domenica e la bambina di due anni ha la febbre alta, così i genitori preoccupati la portano all’ospedale. 
Dieci giorni dopo, direttamente dai media, Lanfranco, professore di matematica alle scuole superiori in Lombardia, scoprirà perché sua figlia è da 10 giorni in quel letto d’ospedale: violenza sessuale.
Il padre avrebbe abusato di lei. 
I titoli dei giornali in prima pagina non hanno incertezze: <Una bimba di due anni violentata dal padre>. 
Solo dopo qualche mese si appura che Lanfranco è innocente ma, nel frattempo, viene additato come un mostro.
Seconda parte:
È la storia di una famiglia e della sua bambina, Miriam, 3 anni, morta in Sicilia per un tumore che era stato scambiato per uno stupro del quale era stato accusato, ingiustamente, il padre. 
E’ una storia di errori medici, giudiziari, giornalistici che hanno distrutto la reputazione di un uomo e la pace di una famiglia costretta dalla pressione mediatica e popolare a trasferirsi dalla Lombardia alla Sicilia.
È una storia di tante certezze e nessun dubbio di troppi medici, troppi magistrati, troppi giornalisti che hanno causato, in buona sostanza, la morte di una bambina "salvata" dall'orco immaginario e uccisa, invece, dal cancro reale.


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