Diffamazione sui Social: Libertà di Critica vs. Tutela della Reputazione

 

Nel panorama giuridico attuale, la questione della diffamazione sui social media è un tema caldo, che solleva interrogativi complessi sul bilanciamento tra il diritto alla libertà di espressione e la tutela dell'onore e della reputazione. Un recente caso, discusso dinanzi al Tribunale di Roma, ne è un esempio lampante, ponendo al centro una Fondazione nazionale di previdenza e assistenza e un suo iscritto.

La controversia è nata da un commento pubblicato dal convenuto, su un gruppo Facebook, a margine di un video inchiesta sulla gestione dell'ente previdenziale attore.

Esaminiamo i due punti di vista in gioco.

La Posizione della Fondazione (Attrice)

La Fondazione, assistita dal suo legale, ha sostenuto che il commento in questione costituisse diffamazione aggravata a mezzo stampa o altro mezzo equipollente (social network), ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3. Si sottolinea come il diritto all'immagine e alla reputazione non sia esclusivo delle persone fisiche, ma riconosciuto anche alle persone giuridiche, come la Fondazione stessa.

L'attrice ha evidenziato che l'espressione utilizzata attribuiva all'ente la commissione di un reato (usura) o, comunque, un comportamento socialmente riprovevole, ledendone gravemente l'onore e la reputazione. La Fondazione ha argomentato che tale affermazione fosse ingiustificata, immotivata e inveritiera, poiché l'ente opera nella piena legalità e non utilizza metodi illeciti. Ha ricordato il suo ruolo come Fondazione senza scopo di lucro che garantisce pensioni e prestazioni assistenziali, con un patrimonio solido e un bilancio positivo.

Un punto chiave della difesa dell'attrice riguarda la diffusione del commento. Nonostante il convenuto avesse camuffato il termine con numeri per eludere i filtri automatici, ciò dimostrerebbe la piena consapevolezza del disvalore della parola e la presenza del dolo. La Fondazione ha insistito sulla vasta risonanza del post, pubblicato in un gruppo Facebook con oltre 25.000 iscritti e visibile a un numero indeterminato di persone, rendendolo un caso di diffamazione aggravata. Il danno non patrimoniale, sebbene non "in re ipsa", si tradurrebbe nella diminuzione della considerazione sociale della Fondazione. Applicando i criteri dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, la Fondazione ha richiesto un risarcimento significativo, inquadrando il fatto nella categoria di diffamazione ad elevata gravità, data l'elevata notorietà dell'ente e l'ampia diffusione della notizia.

La difesa dell'attrice ha infine contestato l'invocato diritto di critica, precisando che esso incontra limiti nella veridicità dei fatti, nella pertinenza degli argomenti e nella continenza espressiva. Secondo la giurisprudenza, non è ammissibile manipolare i fatti o rappresentarli in modo incompleto. Il tono e il lessico usati dal convenuto sarebbero stati gratuitamente offensivi e lesivi della dignità dell'ente, eccedendo la continenza.

La Posizione del Convenuto

Il Convenuto, difeso dai suoi legali, ha basato la propria difesa sul legittimo esercizio del diritto di critica, tutelato dall'art. 21 della Costituzione. Il commento si inserirebbe in un contesto di confronto tra colleghi medici su una piattaforma social, riguardo alla gestione di un ente previdenziale di interesse collettivo, configurando una critica vivace ma non gratuita.

La difesa del convenuto ha richiamato la giurisprudenza che ammette l'uso di toni aspri, purché non degenerino in aggressione gratuita e distruttiva dell'altrui reputazione. Il termine sarebbe stato impiegato in senso lato e metaforico, come espressione di dissenso verso una gestione percepita come economicamente gravosa, e non per attribuire un reato specifico. La continenza espressiva, come noto, si valuta in relazione al complessivo contesto dialettico, e toni aspri non sono di per sé lesivi se pertinenti al tema.

Per quanto riguarda l'interesse pubblico, la discussione tra iscritti all'ente previdenziale su temi come la gestione del patrimonio e le contribuzioni obbligatorie integrerebbe pienamente tale requisito. La critica può includere espressioni "pesanti" o opinioni soggettive, purché basate su un nucleo minimo di verità e non trascendano in attacchi personali gratuiti.

Un altro punto fondamentale della difesa del Convenuto è stata l'assenza di un danno concreto e significativo. Il commento non avrebbe avuto ampia diffusione né generato un danno specifico all'immagine dell'ente. La giurisprudenza, infatti, richiede che il danno non patrimoniale sia allegato e provato concretamente, non essendo "in re ipsa". Nel caso specifico, la parte attrice non avrebbe fornito alcuna prova di una lesione significativa o di una diffusione considerevole del commento, che risulterebbe confinato a una ramificazione secondaria di un post, con interazioni minime.

In via subordinata, la difesa ha invocato la tenuità dell'offesa, suggerendo che la condotta rientrerebbe nei casi di lieve entità, come delineato dalla Cassazione Penale. La limitata diffusione, l'assenza di risonanza mediatica e la natura episodica del commento giustificherebbero l'applicazione di questo principio, anche ai fini della quantificazione del danno. Facendo riferimento ai Criteri orientativi di Milano, il caso, nella peggiore delle ipotesi, rientrerebbe nella "diffamazione di tenue gravità", data la limitata notorietà del presunto diffamante (come medico e non giornalista) e la minima diffusione del mezzo.

In Conclusione

Questo caso evidenzia la complessa sfida di applicare principi giuridici consolidati, come il diritto di critica e la tutela della reputazione, al dinamico e spesso informale contesto dei social network. Il Tribunale di Roma, chiamato a decidere su questa controversia, dovrà attentamente bilanciare questi diritti fondamentali, considerando la specificità del mezzo di comunicazione e le intenzioni delle parti, per definire le frontiere tra una legittima espressione di dissenso e un'illecita condotta diffamatoria.

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