La
Cassazione Civile, Sez. V, con la sentenza n° 47584 dello scorso 4 ottobre
2019, si inserisce nel solco del dominante orientamento giurisprudenziale a
mente del quale la sistematica e
reiterata omissione dei versamenti di imposte e contributi previdenziali
determina l’integrazione della fattispecie di bancarotta per operazioni dolose.
La Suprema
Corte definisce innanzitutto il concetto di “operazioni dolose”: “va subito sgombrato il campo dal
dubbio che nel concetto di operazioni dolose rientrino solo operazioni
materiali che si concretano in un facere, sulla base della etimologia della
parola “operazione”, implicante l’attività di chi opera. Invero, anche gli inadempimenti
reiterati e sistematici in violazione dei doveri imposti dalla legge all’organo
amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta risultano sussumibili nel
concetto di “operazioni dolose”,
laddove integrino una sistematica elusione dei doveri dell’organo gestorio,
comportante il fallimento della società, anche se non concretantesi in una
diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma determinante, comunque, un depauperamento del patrimonio, non
giustificabile in termini di interesse per l’impresa”.
Nel prosieguo
dell’arresto, il Supremo Collegio precisa: “più
volte questa Corte ha evidenziato, infatti, che il profilo strutturale
“omissivo” della condotta non impedisce la configurabilità del reato (v., ad
es., Sez. 5, n. 3506 del 23/02/1995) e le operazioni dolose di cui all’art.
223, comma 2, n. 2, legge fall. possono consistere anche nel sistematico inadempimento delle
obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta
gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il
prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e
degli enti previdenziali”.
In ordine all’elemento
soggettivo, la Corte afferma in maniera cristallina “che nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo
l’effetto - dal punto di vista della causalità materiale - di una condotta
volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto
fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il
rischio dello stesso. La fattispecie in questione è, dunque, a dolo generico; in particolare, di
operazione dolosa si parla quando il fallimento, pur essendo ricollegabile in
termini causali ad una condotta volontaria non è voluto né previsto
dall’agente, sicché il dolo investe la condotta. In tale contesto la Corte
territoriale senza illogicità ha ritenuto del tutto verosimile che al momento
delle condotte omissive in contestazione l’imputato versasse appunto in una
situazione quantomeno di dolo eventuale
(accettazione del rischio che la propria condotta omissiva avrebbe cagionato il
fallimento della società), stante la sistematicità
di tale condotta nel corso degli anni, che ha indebolito progressivamente
la struttura patrimoniale dell’impresa ed ha necessariamente determinato,
unitamente alle altre cause di dissesto, non determinabili con precisione, in
assenza della documentazione contabile, un aumento dei debiti sociali,
determinante il fallimento della società”.
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