L'Europa, la ricerca e il "sistema" italiano


Un articolo, apparso pochi giorni fa sul Corriere della Sera, a firma del Prof. Walter Lapini, docente di Letteratura greca dell’Università di Genova, sugli European Research Council (ERC) Grant, ha disvelato anche al grande pubblico alcuni meccanismi che governano il mondo della ricerca e dell'Università.
Per chi non lo sapesse (ma basta andare sul sito https://www.apre.it/ricerca-europea/horizon-2020/excellent-science/european-research-council/) lo European Research Council (ERC) è l'organismo dell'Unione europea che finanzia i ricercatori di eccellenza di qualsiasi età e nazionalità che intendono svolgere attività di ricerca di frontiera negli Stati membri dell’UE o nei paesi associati.
"L'obiettivo principale dell’ERC è quello di sostenere l’Eccellenza, potenziando il dinamismo e  la creatività della ricerca europea "di frontiera". L’obiettivo strategico è, quindi, quello di supportare progetti di ricerca ad alto rischio, condotti da Principal Investigators (PI) con curricula di rilievo a livello internazionale.".
Va anche aggiunto che il nostro Paese investe per l’università statale 5,5 miliardi di euro all'anno: lo 0.3% del prodotto interno lordo a fronte di una media europea dello 0,7%.
Fatta questa doverosa premessa, ciò che mi preme evidenziare è che, mentre l'Europa mette a disposizione risorse, anche cospicue (13,5 Miliardi di euro in sette anni), per la ricerca e punta su criteri meritocratici, l'Italia più provinciale e gretta di parte del mondo accademico preferisce ancora una volta rimanere ancorata a criteri di selezione basati sulla cooptazione e sull'adulazione del barone di turno e dichiara di gradire il sistema dei finanziamenti a pioggia rispetto ai finanziamenti basati su progetti precisi, coraggiosi e innovativi.
E questo, purtroppo, è uno schema, tradizionalmente ben collaudato, che viene applicato in tanti settori della vita pubblica e privata del Belpaese.
E forse è proprio rinunciare, anche solo in parte, a questo sistema, che rappresenta la perdita di sovranità che più spaventa l'italiano medio e i suoi profeti nazionalisti, più dell'Euro, più della burocrazia europea, più dei vincoli di bilancio e del "mitico" 3% di rapporto debito pubblico/PIL.
Il merito e la competizione, che non vanno rozzamente declinati come darwinismo, possono essere davvero la grande forza motrice di una rinascita dell'Italia.
E se la spinta ci viene dall'Unione Europea, ben venga!

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