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giovedì 28 aprile 2022

È illegittimo imporre il cognome paterno alla nascita secondo la Corte Costituzionale

 


La Corte Costituzionale, riunita ieri in camera di consiglio, ha scrutinato le questioni di legittimità costituzionale sulle norme che regolano, nell’ordinamento italiano, l’attribuzione del cognome ai figli. In particolare, la Corte si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre, anziché quello di entrambi i genitori.

Più in dettaglio, già nel gennaio dello scorso anno, la Consulta aveva deciso di sollevare davanti a se stessa la questione di costituzionalità del primo comma dell’articolo 262 del codice civile che stabilisce come regola l’assegnazione del solo cognome paterno.

La Corte costituzionale, tramite il suo ufficio stampa ed in attesa delle motivazioni che saranno depositate nelle prossime settimane, ha reso noto che le norme censurate, segnatamente l’art. 262, comma 1, del codice civile ed altre, sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Corte ha censurato come discriminatorio e lesivo dell’identità del figlio il precetto che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Alla stregua del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori, invece, devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale. Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico.

La Corte ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. Rimane compito del Legislatore, a questo punto, regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione resa dalla Consulta.

Con questa sentenza la Consulta ha avuto l’occasione di ritornare su un tema finora irrisolto, affrontandolo alla radice, considerato anche il mancato intervento del Legislatore, finora inerte rispetto alle nuove esigenze sociali e agli impegni presi in sede europea, come il Trattato di Lisbona che, tra le altre cose, vieta ogni discriminazione fondata sul sesso. L’odierna pronuncia di incostituzionalità, inoltre, ha messo finalmente il Belpaese in linea con la giurisprudenza della CEDU considerato che proprio la Corte di Strasburgo nel 2014 aveva condannato il nostro Paese, ritenendo “discriminatoria verso le donne” e una vera e propria violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo l’assenza di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno.

Giova aggiungere che erano state depositate agli atti del giudizio costituzionale ord. 25/2021, per il tramite dei suoi legali e della sua Segretaria, Filomena Gallo, anche le Osservazioni dell’Associazione Luca Coscioni per esporre, in rappresentanza della società civile, ulteriori elementi utili alla decisione della Corte.

Proprio Filomena Gallo ha commentato: “Dal 2008 l’Associazione Coscioni lavora, nell’ambito di una conferenza permanente, con professionisti ed esperti della materia ad un pacchetto di riforme del diritto di famiglia, per promuovere una nuova prospettiva culturale con cui guardare ai tanti volti assunti dalle famiglie e dei legami affettivi, incentrata sul concetto di “amore civile”. Al centro della conferenza temi come le unioni di fatto e omosessuali, il divorzio breve, la mediazione familiare, la parità tra figli nati fuori e dentro il matrimonio, le adozioni e l’affido, la violenza dentro le mura domestiche, le nuove forme di convivenza e le scelte personali delle persone in ogni fase della vita, e appunto, il diritto ad attribuire il cognome di entrambi i genitori”. 

Ha poi aggiunto: “Rispetto al cognome dei figli, nonostante le proposte di legge depositate, ancora una volta la Corte Costituzionale si trova costretta ad intervenire in supplenza del Parlamento, invitato ripetutamente ad introdurre una normativa organica in tema di attribuzione del cognome dei figli. La Corte ha, dunque, dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. È compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla presente decisione. Siamo soddisfatti che questo percorso sia stato completato per superare definitivamente il  retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i princìpi dell’ordinamento e dell’eguaglianza tra uomo e donna”.

Il traguardo cui si è giunti con questa storica sentenza premia anche l’impegno professionale di un Avvocato di Lauria, Domenico Pittella, che ha seguito la vicenda giudiziaria innanzi alla Corte d’Appello di Potenza, questione che poi è approdata innanzi alla Corte Costituzionale. 


domenica 24 aprile 2022

Il Consiglio di Stato e la pillola dei cinque giorni dopo

 

Con la sentenza n°2928 del 19 aprile scorso il Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che, nel giugno 2021, aveva già ritenuto legittima la decisione dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) di eliminare l’obbligo, anche per le giovani sotto i 18 anni, di presentare la ricetta medica per richiedere la pillola “EllaOne”, meglio nota come la “pillola dei cinque giorni dopo”.

La III Sezione del Consiglio di Stato ha, infatti, precisato che l’assunzione della pillola, “non costituisce un trattamento sanitario, sottolineando come l’eliminazione della prescrizione medica non si ponga in contrasto né con il diritto alla vita della minore a una corretta informazione, né con quello dei genitori a sostituirsi al minore, avendo piuttosto come scopo la tutela della salute psicofisica della minore”.

In sintesi, si legge nella sentenza pronunciata ora dal Consiglio di Stato: “Non è un farmaco abortivo, non deve dunque essere confuso con l’interruzione volontaria della gravidanza. Gli studi scientifici alla base della delibera hanno chiarito che il processo antiovulatorio agisce prima dell’impianto dell’embrione”.

La vicenda giudiziaria prende le mosse dall’impugnativa da parte delle cd. Associazioni “pro vita” del provvedimento con cui, nell’ottobre del 2020, l’Aifa, Agenzia italiana per il farmaco, si era espressa a favore della vendita di EllaOne senza prescrizione medica anche alle minorenni. Così come, peraltro, già era avvenuto in passato per la pillola del giorno dopo, la più vecchia Norlevo.

Tra i motivi a base dell’impugnazione i ricorrenti opinavano che la somministrazione del farmaco ElleOne rientrasse tra i trattamenti sanitari e rilevavano, pertanto, la violazione del consenso informato dei genitori o tutori in caso di somministrazione del farmaco alle minorenni. Per le associazioni pro vita, inoltre, la somministrazione della contraccezione di emergenza alle minorenni senza prescrizione non “sarebbe stata suffragata da studi e più specifiche sperimentazioni” sui possibili rischi.

Già per il TAR Lazio la presunta carenza di ricerche scientifiche “risulta per tabulas smentita ad una attenta lettura del ‘Razionale scientifico e regolatorio’ del 16 dicembre 2019 dal quale risulta al contrario la presenza di numerosi studi e contributi in tale specifico settore”.

Non solo, i giudici hanno avuto modo di evidenziare che numerose fonti scientifiche portano “da un lato ad escludere problematiche di salute quale sia l’età di chi assume tale sostanza, dall’altro ad escludere una ulteriore portata antinidatoria in capo al prodotto medesimo”.

Inoltre, la sentenza del TAR Lazio ha sottolineato che le tesi delle associazioni ricorrenti poggiavano unicamente su uno studio di un “esperto” che di fatto esprimeva un mero giudizio di non condivisione, o comunque una diversa opinione, se non addirittura un semplice dubbio, rispetto a quanto affermato dal competente organo tecnico. Il tutto senza mai evidenziare “profili di eventuale palese illogicità o di macroscopica erroneità delle valutazioni espresse da Aifa circa l’effetto soltanto antiovulatorio del prodotto in contestazione”. 

In sostanza, per la sentenza del 2021 “non è mai stata raggiunta quella indefettibile ‘prova rigorosa’ circa la sicura inattendibilità delle scelte al riguardo operate dalla intimata amministrazione nell’esercizio del suo potere tecnico discrezionale”.

All’esito del giudizio, Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni ebbe a dichiarare: “Il tribunale fa riferimento alla letteratura internazionale, che assume come dato di evidenza il meccanismo d’azione del farmaco e la sua rispondenza ai criteri stabiliti per i farmaci dispensabili senza obbligo di prescrizione, affermando che il ricorso delle associazioni cattoliche era basato solo su opinioni e su un unico studio, peraltro discutibile da un punto di vista metodologico. È auspicabile che le opinioni e le posizioni ideologiche personali, ovviamente legittime, non abbiano diritto di cittadinanza nella pratica medica e nella ricerca scientifica, che hanno come unico fine la salute delle persone”.

Come visto, oggi, il Consiglio di Stato va oltre e, nel confermare provvedimento amministrativo e sentenza di prime cure, ha precisato che una lettura costituzionalmente orientata della disciplina del consenso informato impone innanzitutto la protezione del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’auto-determinazione della persona, tutti diritti che sarebbero fortemente compressi nell’ipotesi in cui si esigesse, come nel caso della somministrazione di farmaci analoghi relativi alla libertà sessuale, la necessità del consenso dei genitori o dei tutori.

A seguito dell’intervento del Consiglio di Stato, l’Associazione Coscioni sui suoi canali social ha puntualizzato: “I giudici hanno stabilito che l’acquisto della pillola a minorenni e senza ricetta è legittima perché non si pone in contrasto da un lato con il diritto del minore ad una corretta informazione e dall’altra con il diritto dei genitori o di chi ne fa le veci a sostituirsi al minore. Si tratta di una buona notizia perché questa decisione antepone la salute individuale a questioni ideologiche o moralistiche che non possono mettere in pericolo le persone, a maggior ragione se minorenni.”.


giovedì 21 aprile 2022

Privacy e democrazia diretta digitale

 



Nei giorni scorsi, il Garante per la protezione dei dati personali ha inviato al Ministero per l’innovazione tecnologica il prescritto parere sullo schema di DPCM che stabilisce le regole della piattaforma per la raccolta delle firme per i referendum abrogativi ed i progetti di legge di iniziativa popolare. 

In sintesi, l’Autorità ha ritenuto che, dall’esame di un provvedimento così rilevante per istituti di democrazia diretta, previsti e garantiti dalla Costituzione, siano emersi numerosi profili critici in quanto la norma regolamentare è, attualmente, priva di adeguate tutele per il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini.

Partiamo da un punto: a mente della Costituzione e della legge sul referendum il trattamento dei dati dei sottoscrittori è in capo ad alcuni soggetti ben individuati quali i promotori, i partiti politici, l’ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione, la Camera alla quale viene presentata la proposta di legge. A questi soggetti l’ordinamento conferisce funzioni delicate e costituzionalmente garantite tra cui, appunto, la raccolta dei dati personali dei sottoscrittori, la verifica della loro iscrizione nelle liste elettorali, il deposito delle firme autenticate ecc... 

Il DPCM licenziato prevede, invece, l’intervento di ulteriori “attori”: il gestore della piattaforma, ossia una persona giuridica individuata dalla Presidenza del Consiglio, per ora del tutto indeterminata, e la Presidenza del Consiglio stessa, chiamata a realizzare la piattaforma e, seppure solo fino all’attivazione delle utenze dell’Ufficio centrale per il referendum, a inserire i dati dei cittadini che sottoscrivono il referendum e abilitare l’accesso dei promotori. Al gestore della piattaforma, inoltre, è attribuito tutto lo sviluppo tecnologico dell’infrastruttura, i cui aspetti tecnici sarebbero inclusi in un manuale operativo che, peraltro, non verrebbe nemmeno sottoposto all’esame del Garante e del Ministero della Giustizia. 

Tale rinvio al manuale operativo secondo il Garante è incompatibile con la lettera e con lo spirito della legge e, chiaramente, non offre adeguate garanzie di protezione dei dati personali in relazione a profili essenziali del funzionamento della piattaforma.

Occorre rimarcare, infatti, che “i dati dei sottoscrittori di una proposta di referendum o di un progetto di legge rientrano nell’ambito delle particolari categorie di dati per i quali il Regolamento europeo prevede rigorose tutele a garanzia della loro riservatezza. Essi rivelano infatti, oltre al dato sulla partecipazione alla consultazione referendaria, le opinioni o la posizione politica del sottoscrittore” precisa il comunicato stampa del 12 aprile a cura del Garante Privacy.

Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che con l’avvocato Mario Staderini ha concorso all’entrata in vigore di questa innovazione civica, in ordine alla questione ha dichiarato: “Non entriamo nel merito dei rilievi mossi dal Garante privacy relativi alla proposta di DPCM, che ritiene quanto preparato senza adeguate tutele per il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini. Si tratta di rilievi che devono quanto prima esser affrontati e risolti grazie agli strumenti tecnologici e giuridici a disposizione delle istituzioni per garantire la riservatezza dei dati personali di chi firma, ma anche consentire ai promotori delle iniziative di contattare chi partecipa per ulteriori informazioni e sostegni”.

“Ci appelliamo dunque al Governo, e in particolare al Ministro Colao che lavora al progetto da quasi un anno, affinché risolva con la massima celerità le obiezioni mosse dal Garante privacy e si possa procedere speditamente per rendere operativa la piattaforma che doveva essere operativa prima all’inizio dell’anno, poi a marzo e che, secondo quanto risposto dal Governo in Parlamento qualche settimana fa potrebbe essere pronta nel secondo semestre del 2022”, ha poi proseguito Cappato.

Giova, infine, ricordare che, dopo una lunga campagna condotta da Staderini e culminata nel 2019 con la condanna dell’Italia da parte della Comitato diritti umani delle Nazioni Unite e anche in virtù dell’azione politica di sollecitazione al Ministero svolta dall’Associazione Luca Coscioni, questa battaglia di civiltà fu tradotta, nell’estate 2021, da Riccardo Magi (+Europa) in emendamento poi approvato dal Parlamento. Così, per la prima volta nella storia della democrazia italiana, la raccolta firme a sostegno dei referendum Eutanasia e Cannabis, che tra giugno e settembre 2021 raccolse quasi due milioni di adesioni, avvenne in parte anche in digitale grazie al Sistema pubblico di identità digitale (Spid) o la Carta di identità elettronica (Cie).


martedì 5 aprile 2022

il ddl Pittella sulla cannabis

 


“Sono sei milioni i consumatori di cannabis in Italia, tra questi anche moltissimi pazienti spesso lasciati soli dallo Stato nell’impossibilità di ricevere la terapia, nonostante la regolare prescrizione. Nella XII e nella XIII legislatura più di cento deputati, appartenenti a schieramenti politici diversi, avevano firmato il disegno di legge a prima firma dell’onorevole Franco Corleone per la sua legalizzazione. Lo stesso disegno di legge, con il medesimo testo e spirito non ideologico, era stato presentato nella XIV e nella XV legislatura dal senatore Della Seta. Seppure nel Paese il tema della legalizzazione dei derivati della cannabis abbia acquisito consensi sempre più vasti, dal 1995 ad oggi la possibilità di un confronto pragmatico ed equilibrato in Parlamento è stata resa vana dall’ostruzionismo manifestato dalle posizioni più faziose. Anche nella XVII legislatura oltre 200 fra deputati e senatori appartenenti a gruppi differenti firmarono il disegno di legge del cosiddetto intergruppo per la cannabis legale, che purtroppo si arenò dopo un primo dibattito in aula alla Camera. Nel 2017, la Camera dei deputati ha ricevuto le oltre 50.000 firme a sostegno di un disegno di legge popolare sulla legalizzazione della cannabis promossa dall’Associazione Luca Coscioni e da Radicali italiani, che ha messo d’accordo decine di magistrati, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e ha dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014 che ha di fatto sconfessato il modello della legge Fini-Giovanardi (legge 21 febbraio 2006, n. 49, di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272), confermando l’assoluta mancanza di controllo di fatto sulle droghe in Italia. Numerosi sono i disegni di legge che si sono succeduti nella XIII legislatura sulla regolamentazione legale della cannabis, portando il dibattito al centro della scena politica.

Da ultimo, il quesito referendario sulla depenalizzazione della coltivazione della cannabis e l’eliminazione di tutte le pene detentive, ad eccezione di quelle associative destinate al traffico, presentato in Cassazione lo scorso settembre 2021 da esperti, giuristi e militanti impegnati contro il proibizionismo coordinati dalle associazioni Luca Coscioni, Meglio legale, Forum Droghe, Antigone, Società della ragione, ha raccolto oltre 630.000 firme in poco più di un mese, 130.000 in più della soglia minima prevista. Segno indiscusso che la coltivazione, la vendita e il consumo di cannabis restano tra le questioni sociali più importanti nel nostro Paese. Un tema che attraversa la giustizia, la salute pubblica, la sicurezza, la possibilità di impresa, la ricerca scientifica, le libertà individuali e, soprattutto, la lotta alle mafie.

La questione se il regime di proibizione per la cannabis sia il più adatto a difendere la salute pubblica è stata affrontata a più riprese fin dal secolo scorso da commissioni di studio e comitati insediati dai Governi e dai Parlamenti in diverse parti del mondo.”.

È questo l’incipit della Relazione alla Presidenza e ai Colleghi del Senato che Gianni Pittella ha consegnato lo scorso mese di febbraio per illustrare il disegno di legge n°2529 della XVIII Legislatura in materia di “Disposizioni per la tutela della salute, per la regolamentazione del consumo, della produzione e del commercio della cannabis e dei suoi derivati, nonché per la prevenzione e la ricerca in materia di uso di sostanze psicoattive”.

Nel superare l’obsoleto approccio proibizionista il disegno di legge a prima firma Pittella punta, invece, alla tutela dei diritti, alla centralità della persona che fa uso di cannabis, nonché alla salute pubblica.

Il primo principio che viene introdotto con la normativa che si intende approvare attiene alla Autoregolamentazione e controllo del consumo e della coltivazione di cannabis per uso domestico.

È previsto che il consumo, ancorché di gruppo, la cessione gratuita e la coltivazione per fini personali, di cannabis e dei prodotti derivati sono consentiti, ma sono posti limiti al consumo di cannabis nei luoghi pubblici (articolo 6) ed è fatto divieto di propaganda pubblicitaria (articolo 7). Sono inoltre previste aggregazioni in forma associata per la coltivazione domestica, al fine di favorire la socializzazione funzionale all’autoregolamentazione del consumo consapevole.

Precisa ancora Pittella: “Nel nuovo sistema in cui il consumo e la circolazione di cannabis sono leciti, le sanzioni penali della legislazione speciale (articolo 4) si riducono a quelle previste per la tutela del minore e della salute, in aggiunta a quelle già esistenti nel codice penale e nel nuovo codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. La clausola di riserva, di cui all’articolo 3 e al comma 3 dell’articolo 4, dovrebbe consentire che le condotte di violazione dell’autorizzazione o di acquisto o di vendita di prodotti non autorizzati rientrino nell’area di responsabilità penale solo qualora si inseriscano nell’ambito di un’organizzazione criminale o abbiano ad oggetto prodotti pericolosi per la salute; in caso contrario resterebbero illeciti amministrativi. Le sanzioni amministrative (articoli 3 e 6) hanno, da un lato, la funzione di garantire il rispetto del sistema di regole e, dall’altro, quella di offrire ai soggetti più deboli, come i minori (articolo 4, comma 2), percorsi informativi e risocializzanti.”.

Questo in merito al sistema sanzionatorio; in ordine, invece, alla questione della prevenzione e dell’educazione nelle scuole, dalla relazione e dall’articolo 8 si evince che “In attuazione di quanto disposto dagli articoli 104, 105 e 106 del testo unico (cfr. DPR n°309/1990), sulla base delle indicazioni del comitato di cui al citato articolo 104, comma 3, del medesimo testo unico, è fatto obbligo ai dirigenti scolastici di promuovere e realizzare attività di educazione alla salute fisica, psichica e sociale, in collaborazione con le autorità competenti.”.

Interessante è l’impianto di fondo, de iure condendo.

Infatti, non solo si ribadisce l’abbandono di una fallimentare posizione proibizionista ma si suggerisce e propone un regime autorizzativo per la vendita e per il commercio che consenta anche di superare le perplessità insite in un regime di monopolio di Stato e ciò sia per ragioni di princìpi – in ordine alle funzioni proprie dello Stato in questa delicata materia – sia in ordine alla difficoltà pratica di mettere in opera una produzione statale di droghe leggere.

Giova, in ultimo, evidenziare che il disegno di legge è stato redatto da un gruppo di lavoro promosso dalla già citata organizzazione non lucrativa di utilità sociale, « La Società della ragione », che si occupa, tra l’altro di questioni attinenti alla giustizia, al diritto penale, al carcere, per la difesa delle libertà e dei diritti dei cittadini e delle cittadine, il rispetto delle differenze (in particolare della differenza femminile), la valorizzazione delle soggettività, in specie degli individui e dei gruppi che meno voce hanno nella società (persone in condizioni di fragilità sociale, di disabilità e di marginalità).


👭 Congedo obbligatorio di paternità nelle coppie omosessuali femminili (Parte II)

👭👪  Congedo obbligatorio di paternità: la decisiva pronuncia della Consulta Nel nostro spazio dedicato al diritto di famiglia e ai diritti...