I "condannatori distratti" ovvero il processo senza difesa

Avete presente i legal thriller americani?
Dopo mille colpi di scena, testimoni a sorpresa, vicende rocambolesche o strappalacrime, prima di scoprire se l'imputato verrà condannato o assolto, c'è sempre la scena clou del film.
L'avvocato difensore -di solito un giovane belloccio, appassionato e idealista-  al fianco del proprio assistito o muovendosi sicuro nell'aula, pronuncia con enfasi la sua perorazione, sintetizza l'andamento di tutto il processo e, richiamando norme, codicilli e princípi di diritto, chiede l'assoluzione per il suo cliente.
Nei film, il pubblico presente in Tribunale rimane stupíto da tanta passione e da tale arte oratoria, la giuria ascolta attenta e prende addirittura appunti, il Giudice sul suo scranno, in silenzio, pondera sulle parole della difesa.
Poi tutti escono dall' Aula e aspettano il verdetto...
Nelle migliaia di processi penali che si celebrano ogni anno in Italia succede più o meno lo stesso; forse gli avvocati non sono tutti belli e di successo come nelle pellicole americane, forse non tutte le vicende sono cosi ricche di pathos ma, prima che venga pronunciata una sentenza, sempre, l'avvocato difensore pronuncia la sua arringa conclusiva e chiede che il Tribunale assolva, per una ragione o per l'altra, l'imputato.
È questo il suo compito, il suo lavoro, il suo dovere.
Lo svolgimento della discussione è, peraltro, dettagliatamente regolato dall'articolo 523 del codice di procedura penale.
A norma di legge, infatti, il  primo a prendere la parola è il Pubblico Ministero, al quale seguono gli avvocati della parte civile, del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. 
L'ultimo a prendere la parola è il difensore dell'imputato, che ha la possibilità, in questo modo, di contestare le argomentazioni conclusive di chi lo ha preceduto.
L'arringa finale è notoriamente molto impegnativa per il difensore dell'imputato che deve offrire al Giudice una versione dei fatti più credibile di quella prospettata dal Pubblico Ministero e dai legali delle parti.
Fatta questa premessa tra il serio e il faceto, in questo scorcio di fine 2019, in cui ci si accapiglia sulla prescrizione, sulla coltivazione della marijuana in balcone, sui pubblici ministeri che arrestano mezza Calabria, devo confessare che una delle notizie di cronaca giudiziaria che più mi ha colpito è quella riportata dal Tribunale di Asti.
Immaginate la scena come fosse il classico lungometraggio: l'avvocato è pronto a discutere e l'imputato è lì per ascoltare quelle parole in cui ripone tutte le sue speranze.
E, invece, che succede?
Il Collegio, alla ripresa dell’udienza, entra in aula e legge, al cospetto dell'imputato e in nome del popolo italiano, il dispositivo della sentenza di condanna ad anni 11 di reclusione.
Dissolvenza.
Torniamo alla realtà. Pare che dopo le rimostranze del difensore il Presidente abbia stracciato il foglio su cui era scritto il dispositivo e invitato con noncuranza l'avvocato a concludere come se niente fosse; solo in virtù delle ulteriori proteste della difesa, il Collegio si è astenuto...
Non so cosa passasse per la testa dei "condannatori distratti" in questo giudizio senza difesa, ma so per certo che l'importanza della difesa tecnica, ossia del ruolo dell'Avvocato nel processo, non può mai essere sminuita, pena l'inevitabile compressione dei diritti del cittadino.
Di ognuno di voi, di ognuno di noi.

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