Per celebrare i settantadue anni dalla promulgazione della nostra Carta Fondamentale e condividere con i Lettori alcune considerazioni, ho deciso di immergermi nei resoconti dell'Assemblea Costituente e leggere le parole e i discorsi di Piero Calamandrei, di Giorgio La Pira o, perfino, di Vittorio Emanuele Orlando pronunciati mentre la Costituzione veniva pensata, elaborata, discussa e redatta.
Devo ammetterlo: mi sono smarrito in una profondità di pensiero giuridico, in una ricchezza di linguaggio, in una forza morale che mi hanno lasciato senza fiato.
Si ricostruiva sulle macerie di vent'anni di dittatura e di una guerra globale che aveva visto fronteggiarsi tre narrazioni del mondo (il fascismo, il comunismo e la democrazia liberale).
Si ricostruiva in un mondo destinato di nuovo a spaccarsi, con la Guerra Fredda che già si stagliava all'orizzonte.
Si ricostruiva dopo una vera e propria guerra civile e per evitare che un'altra guerra civile scoppiasse di nuovo.
Lo sguardo dei Costituenti era certamente rivolto al passato, ai morti e ai martiri ma era, soprattutto, rivolto al futuro, ai figli e ai nipoti; si voleva una Legge Fondamentale duratura che riconoscesse diritti e ne creasse anche di nuovi, che valorizzasse l'importanza dei corpi intermedi e dell'individuo e istituisse dei contrappesi tra i poteri dello Stato, che riconoscesse il ruolo della proprietà privata nel progresso e nella crescita delle Nazioni e che ponesse dei limiti agli eccessi del capitalismo sfrenato.
Insomma, un sistema rigido ma al contempo anche abbastanza elastico per reggere all'urto dei tempi di là da venire.
I Padri Costituenti avevano capito -e questo emerge dai discorsi di quei giorni e poi dai resoconti successivi, in particolare di Calamandrei- che quella che stavano elaborando non dovesse essere una "Grundnorm" immobile quanto piuttosto una Carta che avrebbe aperto le vie verso l’avvenire, non rivoluzionaria ma rinnovatrice e progressiva, una Carta che aspirasse alla trasformazione della societá, in polemica contro il presente e, quindi, che rappresentasse un solenne impegno per cambiare il presente.
Disse Calamandrei nella seduta dell’Assemblea costituente del 4 marzo 1947: «La Costituzione deve essere presbite, deve veder lontano, non essere miope». Dobbiamo fare, affermò citando Dante: «come quei che va di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte».
Eppure, oggi tutto (o quasi) mi fa temere che quel lume si sia spento.
O, forse, siamo noi ad essere diventati ciechi (o quasi).
E mi chiedo, e vi chiedo, come sia stato possibile che un popolo prostrato dalla guerra, povero e, in larga misura, analfabeta abbia potuto esprimere una classe dirigente di così alto livello mentre oggi, con un livello di istruzione sicuramente superiore, ci siamo ritrovati a farci rappresentare da chi disprezza il sapere e la competenza.
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