Con la testa e con il cuore: gli Avvocati e la disobbedienza civile



Eravamo in tanti ieri in tutta Italia a seguire, con il cuore e con la mente, un particolare processo che si stava celebrando innanzi alla Corte di Assise di Massa.
La Corte era chiamata a decidere se l’aiuto al suicidio offerto a Davide Trentini, cinquantatreenne, da trenta malato di Sclerosi multipla, che nell’aprile del 2017 decise di metter fine alle insopportabili sofferenze in Svizzera, dove ricorse al suicidio assistito, fosse reato o meno, anche alla luce della sentenza n° 242/2019 della Corte Costituzionale. 
Imputati erano Mina Welby che fornì aiuto per completare la documentazione necessaria e accompagnò poi fisicamente Davide e Marco Cappato che lo sostenne economicamente, raccogliendo fondi attraverso l’associazione Soccorso Civile. Entrambi, il giorno successivo il decesso di Davide, si presentarono presso la Stazione dei carabinieri di Massa per autodenunciarsi.
Mina Welby e Marco Cappato incarnano alla perfezione ciò che Gandhi intendeva con l’espressione “disobbedienza civile”: “la violazione deliberata, pubblica e non violenta di una o più leggi ritenute ingiuste (o incostituzionali), accompagnata dalla disposizione a sottomettersi volontariamente alla pena prevista per detta violazione.”.
Il Pubblico Ministero, infatti, alla fine della requisitoria aveva chiesto una condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione, una pena cioè con tutte le attenuanti generiche e ai minimi di legge.



Mina Welby e Marco Cappato sono stati, alla fine, assolti dalla Corte di Assise di Massa dall’accusa di istigazione e aiuto al suicidio per la morte di Davide Trentini. Sono stati assolti, tecnicamente, perché il fatto non sussiste in relazione all’istigazione al suicidio (art. 580 del Codice Penale) e perché il fatto non costituisce reato alla luce della sentenza n° 242/2019 della Corte Costituzionale in relazione all’aiuto fornito a Davide Trentini. 
Mina Welby e Marco Cappato, però, non hanno ancora finito la loro lotta non violenta: “La sentenza di oggi, nell’indifferenza del Parlamento, fa compiere un altro passo avanti verso un più ampio riconoscimento del diritto ad essere aiutati a morire. La nostra azione di disobbedienza civile proseguirà fino a quando il Parlamento non avrà deciso sulla legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale che attende da 7 anni”. “Dovremo andare avanti con la disobbedienza civile fino a quando non avremo una buona legge, chiara, che permetta a tutti di vivere #LiberiFinoAllaFine… in Italia!”.


Non va dimenticato il ruolo degli Avvocati che hanno reso possibile tutto ciò, Colleghi che hanno abbracciato non solo una causa ma un’idea di libertà, di rispetto e valorizzazione della Carta Costituzionale, di realizzazione concreta di diritti ancora non vergati da un Legislatore disattento e pavido.

L’Avv. Filomena Gallo, coordinatrice del collegio difensivo dopo la lettura del dispositivo ha avuto modo di precisare: “È stato riconosciuto che Davide Trentini possedeva quindi tutti i requisiti previsti dalla sentenza 242/19 della Corte Costituzionale che rende “non punibile chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio del malato, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Ed ha aggiunto: “È una decisione importante perché chiarisce che il requisito, per il malato, della presenza di trattamenti di sostegno vitale non è limitato alla sola presenza di macchinari ma comprende anche i trattamenti farmacologici e di assistenza come nel caso di Davide, così come dimostrato dalla consulenza tecnica fornita durante il processo.”.
L’Avv. Francesco Di Paola, salese, del Foro di Lagonegro, difensore di Mina Welby, con la modestia che lo contraddistingue nonostante gli straordinari successi professionali nelle battaglie per i diritti umani, mi ha detto parole semplici ma cariche di pathos: “È un privilegio immenso aver potuto contribuire al lavoro fatto per il riconoscimento dei diritti civili. Con questa sentenza, che fa un passo in avanti rispetto al caso di Fabiano Antoniani, si è segnato un punto decisivo sulla libertà di scelta dei malati. Con il lavoro di tutti si è voluto affermare un principio fondamentale, ossia che in un Paese come il nostro il rispetto delle diverse e proprie visioni di scelta prevale su qualunque ideologia confessionale o politica.”
Non è mancato un monito: “Ora è arrivato il momento che il Legislatore faccia seriamente la sua parte.”. 
Diceva Calamandrei: “La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!”.

Ecco, io credo che il lavoro dell’Avvocatura sia proprio questo. 


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