La Consulta boccia il Decreto Sicurezza

La Consulta, dopo l'udienza pubblica del 10 marzo, si è pronunciata il 9 luglio scorso, sul divieto di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, norma introdotta dai Decreti Salvini in materia di immigrazione, cd.“Decreto sicurezza” (dl n. 113 del 2018). 
A sollevare la questione di legittimità era stato, innanzitutto, il Tribunale di Milano che aveva censurato tale disposto normativo a mente del quale il permesso di soggiorno per richiedenti asilo, pur valido come documento di riconoscimento, non costituisse titolo per l’iscrizione anagrafica.
Secondo i giudici milanesi ciò presentava plurimi profili di illegittimità costituzionale tra i quali veniva individuata innanzitutto la violazione dell’articolo 2 della Costituzione, in quanto il diritto all’iscrizione anagrafica rientra "tra i diritti che hanno come punto di approdo ultimo quello della dignità umana nella sua dimensione individuale e sociale". Inoltre la norma avrebbe presentato, in relazione all’articolo 3 della Costituzione, profili di irragionevolezza e irrazionalità stante un "ingiustificato" trattamento differenziato determinato dalla nuova norma tra richiedenti asilo e cittadini stranieri nonché tra richiedenti asilo e stranieri legalmente presenti sul territorio nazionale.    
E ancora: la normativa, secondo i giudici meneghini, sarebbe stata in contrasto con l’articolo 10 della Costituzione e con svariati altre norne della CEDU.

Del resto, in tal senso andavano anche i rilievi indicati dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che il 4 ottobre 2018 aveva accompagnato la firma del decreto-legge con una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio che precisava: «Avverto l'obbligo di sottolineare che, in materia, restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo».
La Corte Costituzionale, superando le questioni formali, pur esposte dal giudice a quo, è andata alla sostanza del decreto, sanzionandone il contenuto per due ragioni fondamentali. 
Il primo è che la mancata registrazione all'anagrafe produce una «irragionevole disparità di trattamento che rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l'accesso ai servizi che siano anche ad essi garantiti»; non essere riconosciuti come residenti sul territorio impone una serie di limitazioni e complicazioni nella vita quotidiana degli stranieri che aspettano di sapere se saranno accolti come rifugiati, senza che ciò sia bilanciato dalla tutela di validi interessi contrapposti.
L'altra ragione della declaratoria di illegittimità costituzionale concerne i motivi stessi per cui la riforma fu voluta e approvata da Governo e Parlamento, e cioè aumentare il livello di sicurezza del Paese. 
I Giudici Costituzionali, a dispetto di tali dichiarazioni di intenti, hanno viceversa rilevato che «la norma censurata non agevola il perseguimento delle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto sicurezza» ed è, pertanto, affetta da irrazionalità intrinseca.


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