Eutanasia legale: le motivazioni della Consulta

 




Lo scorso 2 marzo, la Corte Costituzionale, Presidente Amato, Redattore Modugno, ha emesso la sentenza n°50/2022 in materia di ammissibilità del referendum cd. Eutanasia Legale.

I passaggi più significativi del provvedimento che ha dichiarato inammissibile la proposta referendaria, promossa, tra gli altri, dall’Associazione Luca Coscioni, sono i seguenti. 

“Il quesito referendario in esame è costruito con la cosiddetta tecnica del ritaglio, ossia chiedendo l’abrogazione di frammenti lessicali della disposizione attinta, in modo da provocare la saldatura dei brani linguistici che permangono. Agli elettori viene, infatti, chiesto se vogliano una abrogazione parziale della norma incriminatrice che investa il primo comma dell’art. 579 cod. pen., limitatamente alle parole «la reclusione da sei a quindici anni»; l’intero secondo comma; il terzo comma, limitatamente alle parole «Si applicano».

Per effetto del ritaglio e della conseguente saldatura tra l’incipit del primo comma e la parte residua del terzo comma, la disposizione risultante dall’abrogazione stabilirebbe quanto segue: «Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: 1) contro una persona minore degli anni diciotto; 2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; 3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno».

Il risultato oggettivo del successo dell’iniziativa referendaria sarebbe, dunque, quello di rendere penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa, fuori dai casi in cui il consenso risulti invalido per l’incapacità dell’offeso o per un vizio della sua formazione. Eliminando la fattispecie meno severamente punita di omicidio consentito e limitando l’applicabilità delle disposizioni sull’omicidio comune alle sole ipotesi di invalidità del consenso dianzi indicate, il testo risultante dall’approvazione del referendum escluderebbe implicitamente, ma univocamente, a contrario sensu, la rilevanza penale dell’omicidio del consenziente in tutte le altre ipotesi: sicché la norma verrebbe a sancire, all’inverso di quanto attualmente avviene, la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo.

L’effetto di liceizzazione dell’omicidio del consenziente oggettivamente conseguente alla vittoria del sì non risulterebbe affatto circoscritto alla causazione, con il suo consenso, della morte di una persona affetta da malattie gravi e irreversibili.

Alla luce della normativa di risulta, la “liberalizzazione” del fatto prescinderebbe dalle motivazioni che possono indurre a chiedere la propria morte, le quali non dovrebbero risultare necessariamente legate a un corpo prigioniero di uno stato di malattia con particolari caratteristiche, potendo connettersi anche a situazioni di disagio di natura del tutto diversa (affettiva, familiare, sociale, economica e via dicendo), sino al mero taedium vitae, ovvero pure a scelte che implichino, comunque sia, l’accettazione della propria morte per mano altrui. Egualmente irrilevanti risulterebbero la qualità del soggetto attivo (il quale potrebbe bene non identificarsi in un esercente la professione sanitaria), le ragioni da cui questo è mosso, le forme di manifestazione del consenso e i mezzi usati per provocare la morte (potendo l’agente servirsi non solo di farmaci che garantiscano una morte indolore, ma anche di armi o mezzi violenti di altro genere). Né può tacersi che tra le ipotesi di liceità rientrerebbe anche il caso del consenso prestato per errore spontaneo e non indotto da suggestione.”.

“…Discipline come quella dell’art. 579 cod. pen., poste a tutela della vita, non possono, pertanto, essere puramente e semplicemente abrogate, facendo così venir meno le istanze di protezione di quest’ultima a tutto vantaggio della libertà di autodeterminazione individuale.

La norma incriminatrice vigente annette a quest’ultima una incidenza limitata, che si risolve nella mitigazione della risposta sanzionatoria, in capo all’autore del fatto di omicidio, in ragione del consenso prestato dalla vittima. Non si tratta di una legge a contenuto costituzionalmente vincolato, non essendo quella ora indicata l’unica disciplina della materia compatibile con il rilievo costituzionale del bene della vita umana. Discipline come quella considerata possono essere modificate o sostituite dallo stesso legislatore con altra disciplina, ma non possono essere puramente e semplicemente abrogate, perché non verrebbe in tal modo preservato il livello minimo di tutela richiesto dai referenti costituzionali ai quali esse si saldano.

Già in occasione di uno dei referendum sull’interruzione della gravidanza, questa Corte ha del resto dichiarato inammissibile la richiesta referendaria, richiamando la necessità di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione, con specifico riferimento al diritto alla vita (sentenza n. 35 del 1997).

Non gioverebbe opporre – come fanno i promotori e alcuni degli intervenienti – che l’abrogazione dell’art. 579 cod. pen. richiesta dal quesito referendario, non essendo totale, ma solo parziale, garantirebbe i soggetti vulnerabili, in quanto resterebbero ancora puniti gli omicidi perpetrati in danno dei soggetti indicati dall’attuale terzo comma: e ciò tanto più alla luce del rigore con il quale la giurisprudenza ha mostrato sinora di valutare la ricorrenza dei presupposti di operatività della fattispecie meno gravemente punita dell’omicidio del consenziente.

Le ipotesi alle quali rimarrebbe circoscritta la punibilità attengono, infatti, a casi in cui il consenso è viziato in modo conclamato per le modalità con le quali è ottenuto, oppure intrinsecamente invalido per la menomata capacità di chi lo presta. Le situazioni di vulnerabilità e debolezza alle quali hanno fatto riferimento le richiamate pronunce di questa Corte non si esauriscono, in ogni caso, nella sola minore età, infermità di mente e deficienza psichica, potendo connettersi a fattori di varia natura (non solo di salute fisica, ma anche affettivi, familiari, sociali o economici); senza considerare che l’esigenza di tutela della vita umana contro la collaborazione da parte di terzi a scelte autodistruttive del titolare del diritto, che possono risultare, comunque sia, non adeguatamente ponderate, va oltre la stessa categoria dei soggetti vulnerabili.

In tutte queste ipotesi, l’approvazione della proposta referendaria – che, come rilevato, renderebbe indiscriminatamente lecito l’omicidio di chi vi abbia validamente consentito senza incorrere nei vizi indicati, a prescindere dai motivi per i quali il consenso è prestato, dalle forme in cui è espresso, dalla qualità dell’autore del fatto e dai modi in cui la morte è provocata – comporterebbe il venir meno di ogni tutela.

Alla luce delle considerazioni svolte, deve quindi concludersi per la natura costituzionalmente necessaria della normativa oggetto del quesito, che, per tale motivo, è sottratta all’abrogazione referendaria, con conseguente inammissibilità del quesito stesso.”.

A fronte di tali motivazioni non si è fatta attendere l’analisi giuridica (e politica) dei comitati promotori che hanno rilevato, con le parole dell’Avv. Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Coscioni, una serie di contraddizioni ed incoerenze nella pronuncia della Consulta.

La Corte ritiene che l’articolo 579 sia una norma penale costituzionalmente necessaria: ma come fa a essere necessaria una norma che in tutta la storia repubblicana non è mai applicata se non in rarissimi casi che si contano sulle dita di una mano, a fronte di centinaia di persone che ogni giorno affrontano gravi malattie e sofferenze? Solo attraverso tale anticipazione di giudizio di legittimità costituzionale è stato possibile per i giudici far valere (a maggioranza) una precisa linea politica, richiamando impropriamente la tutela dei soggetti più deboli che sarebbero invece stati protetti dalla parte della norma fatta salva.

Precisa, infatti, Filomena Gallo: “La Corte accusando i promotori del referendum di provocare la liberalizzazione dell’omicidio del consenziente anche in situazioni di fragilità familiare, finanziaria, sociale o affettiva o addirittura al mero taedium vitae è incorsa nel medesimo errore del Presidente Amato (ndr. in conferenza stampa) nel richiamare l’esempio del ragazzo ubriaco. La giurisprudenza è chiara sul punto: tutte queste fragilità sono sempre ricondotte al concetto di deficienza psichica in quanto determinano disagi psicologici che sono sempre tutelati ai sensi del comma 3 dell’articolo 579 del codice penale.

In altre parole: non è la situazione familiare in sé a determinare un’eventuale richiesta di morte bensì il malessere psichico che tale situazione provoca nella persona. Ed il malessere psichico è indiscutibilmente protetto dal comma 3 che rimaneva intatto a garanzia delle persone vulnerabili e del bene vita in generale”.

Secondo Marco Cappato: “L’articolo 75 della Carta costituzionale indica in modo tassativo le materie escluse dalla possibilità di referendum, e il fine vita non è nemmeno indirettamente una di esse. Con questa decisione, la Corte assesta un ulteriore illegittimo colpo al diritto costituzionale del popolo sovrano di poter ricorrere con successo all’istituto del referendum. Per quanto riguarda la campagna per la legalizzazione dell’eutanasia, confermiamo che andremo avanti, dal corpo delle persone al cuore della politica, fino a tornare, se necessario, davanti alla Corte costituzionale”. 

“Per dichiarare inammissibile il referendum, la Corte ha anticipato in sede di ammissibilità un giudizio astratto di legittimità costituzionale della normativa, non solo errato in molti passaggi, ma anche non previsto dalla procedura costituzionale referendaria” hanno, quindi, proseguito Gallo e Cappato.

Secondo il filosofo Giovanni Fornero la dichiarazione di inammissibilità del quesito referendario da parte della Consulta ha indubbiamente rappresentato un duro colpo sia per coloro che lo hanno ideato e promosso con impegno e passione sia per le migliaia di persone che durante l’estate sono andate a firmare.

Tuttavia, al di là dell’esito sfavorevole e dei tentativi di screditamento dell’operazione da parte di Giuliano Amato (secondo cui il quesito sarebbe stato “scritto male”) la campagna per il referendum ha avuto anche importanti aspetti positivi.

Innanzitutto, essa ha avuto l’effetto di attirare ulteriormente l’attenzione sui problemi di fine vita, stimolando direttamente i cittadini a prendere posizione nei confronti di una tematica “eticamente sensibile” che riguarda tutti ed è resa oltremodo attuale dalle molte persone che soffrono. Particolarmente significativo è il vivo interesse manifestato dalle donne e dai giovani.

Nel contempo essa ha rappresentato una sorta di “verifica” di ciò che si sapeva già prima grazie ai sondaggi: ossia che una larga parte di connazionali – fra cui un consistente gruppo di cattolici – non è affatto contraria bensì favorevole all’eutanasia.


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