Il Rapporto Censis 2020. Seconda Parte


 

Ne avevamo già parlato su queste pagine telematiche e la materia era stata già svolta anche da altri importanti enti di statistica e di ricerca, ma il 54mo Rapporto Censis, da poco reso pubblico, ci restituisce una fotografia molto netta sulla situazione del lavoro e dei redditi degli italiani in questo “annus horribilis” che è il 2020.

“Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale esistente tra i lavoratori è quella tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no…  esistono due Italie molto diverse: i garantiti e i non garantiti. Su tutti, i garantiti assoluti, quelli con datore di lavoro lo Stato, un universo distinto da tutto il resto, l’incarnazione della rivincita del posto pubblico, a volte denigrato per il basso valore medio degli stipendi, ora però al riparo dalla possibile débâcle economica. Ne sono membri 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i pensionati: la preoccupazione principale di quasi la metà di essi è stata di fornire un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà ‒ un silver welfare informale di fatto reso possibile anche dalla certezza dei redditi pensionistici.”.

Accanto a questi, in un vero e proprio universo parallelo dove vigono diverse leggi della fisica, troviamo i vulnerabili (dipendenti del settore privato a tempo determinato, tra i quali quasi 400.000 non hanno avuto il rinnovo del contratto nel secondo trimestre dell’anno), gli scomparsi (lavoratori in nero, lavoratori casuali ecc… ossia circa 5 milioni di italiani) e i vulnerati inattesi, ossia gli imprenditori dei settori stroncati, come i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati.

“Il nuovo valore del lavoro protetto si manifesta pienamente in una società sfibrata dallo spettro del declassamento sociale, in cui il 50,3% dei giovani vive in una condizione socio-economica peggiore di quella vissuta dai genitori alla loro età. Per 40 lavoratori autonomi su 100, i figli sono passati in una classe occupazionale inferiore, dentro i ranghi degli operai e del terziario non qualificato. Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora la logica sociale vincente dice che oggi è vitale e razionale per tutti conquistare protezioni, accaparrando diritti su risorse pubbliche, meglio se prolungati, meglio ancora se eterni. Saranno disincentivati la voglia di fare, di andare in mare aperto, di rischiare, di giocarsela sul mercato. Quasi il 40% degli italiani (il 41,7% dei più giovani) oggi afferma che, dopo il Covid-19, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo, perché i rischi sono troppo alti, e solo il 13% lo considera ancora una opportunità.”.

Del resto, a fronte di un PIL crollato in termini reali del 18% rispetto al 2019, di investimenti diminuiti del 22,6%, di consumi delle famiglie calati del 19,1% e di export ridotto del 33% rispetto all’anno scorso, nel giugno 2020, il Rapporto Censis evidenzia che la liquidità (monete, biglietti e depositi a vista) nel portafoglio finanziario degli italiani ha registrato un incremento di ben 41,6 miliardi di euro (+3,9% in termini reali).

Di conseguenza, calano vertiginosamente le risorse investite in azioni (-63,1 miliardi di euro nello stesso periodo, -6,8%), obbligazioni (-11,2 miliardi, -4,6%), quote di fondi comuni (-23,1 miliardi, -5%) e “il 66% degli italiani si tiene pronto a una nuova emergenza sanitaria adottando comportamenti di cautela come mettere i soldi da parte ed evitare di contrarre debiti: una strategia difensiva adottata largamente”.

È un quadro desolante: quello di una società sempre più incerta e spaventata del futuro, di una società che nel suo complesso non ritiene saggio investire, programmare, impegnarsi, trovare soluzioni alla crisi.

E a pagare il conto sono sempre di più i giovani e le donne, da decenni i meno tutelati.

“Nel confronto tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020, i giovani occupati 15-34enni sono particolarmente colpiti dalla perdita del lavoro in settori come: - alberghi e ristorazione (più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore); - industria in senso stretto, dove la riduzione ha riguardato essenzialmente la classe più giovane (-80.000), mentre le componenti più anziane registrano un aumento di circa 50.000 occupati; - attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese, dove a fronte di una riduzione complessiva di 104.000 occupati, 80.000 hanno riguardato gli occupati più giovani (il 76,8% del totale degli occupati in meno). Nel commercio si osserva invece una maggiore esposizione alla perdita di lavoro da parte dei 35-49enni: su 191.000 occupati in meno, 118.000 riguardano la classe d’età centrale e 56.000 i 15-34enni” ci precisa il Rapporto Censis.

Il genere diventa sempre più motivo di disuguaglianza nella possibilità di resistere alla perdita del posto di lavoro: nel secondo trimestre del 2020, il tasso di occupazione totale, che per gli uomini è pari al 66,6%, vede un distacco di oltre 18 punti nei confronti delle donne e solo 32 donne su 100 risultano occupate o in cerca di una occupazione. Tre donne su dieci dicono al Censis che la loro assenza dal mercato del lavoro è dettata da motivi familiari ossia è collegata alla presenza di figli in età prescolare.

Anche questa è una sonora sconfitta per l’Italia, un Paese che non fa niente per i bambini, per i giovani, per le donne, che non investe sulle attività imprenditoriali, che si richiude nell’aspettativa di un improbabile posto fisso.


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