Coronavirus |
Di fronte all’emergenza costituita dall’epidemia del nuovo Coronavirus, che ha ormai contagiato più di 100.000 persone in oltre 70 paesi del mondo, il sistema internazionale di risposta alle emergenze sanitarie adottato a seguito della precedente epidemia di SARS del 2003 sta mostrando numerosi limiti.
A seguito della passata
epidemia si ebbe l’adozione del Regolamento Sanitario Internazionale (IHR), uno
strumento del diritto internazionale che impone ai 196 Stati membri dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) di collaborare seguendo un preciso protocollo per
la protezione della salute pubblica globale.
Il Regolamento consta
sostanzialmente di due parti: la prima, incentrata sulla prevenzione e la
seconda, che si concentra sulla gestione delle emergenze sanitarie e si declina
essenzialmente come principio di contenimento.
Ne deriva che ogni Paese
deve mettere in campo azioni mirate ad individuare, isolare e trattare ogni
caso, tracciare i contatti fra le persone potenzialmente infette e promuovere
ogni misura di quarantena e contenimento proporzionate alla gravità dell’emergenza.
Questo è quanto stiamo vivendo in questi giorni.
Da un lato, quindi, vi
è la necessità di chiudere, di isolare e di contenere. Ed è giusto! Ma oggi,
nel 2020, non è sufficiente. Occorre un balzo in avanti.
Infatti, accanto a
questa evidente esigenza di contenimento vi è anche il bisogno di condividere dati
ed informazioni, il risultato del lavoro di scienziati, medici e ricercatori,
le analisi e lo sviluppo di vaccini e nuove medicine, la formazione specifica
degli operatori sanitari per fronteggiare le eventuali emergenze.
Tutto ciò implica l’accesso
e la diffusione della letteratura scientifica rilevante, affinché sia fruibile dai
ricercatori ma anche dalle autorità e dai decisori politici, dai mezzi di
informazione e, last but not least, da tutti i cittadini.
È palese, infatti, che una
cittadinanza correttamente informata e, soprattutto, meglio equipaggiata sul
versante culturale e scientifico potrà meglio giudicare e stimare l’entità del pericolo
senza, tuttavia, lasciarsi avvilire dall’angoscia e dall’ansia
Inoltre, “cittadini-pazienti
preparati saranno necessariamente più collaborativi con le autorità sanitarie e
saranno, per esempio, più disposti a seguire misure di quarantena e altre
disposizioni di ordine pubblico, si rivolgeranno in modo più tempestivo ai
medici in caso di sintomi e, se necessario, accetteranno di buon grado i
trattamenti clinici necessari e gli eventuali vaccini” sostengono Andrea
Boggio, professore in “Legal Studies” alla Bryant University (USA), e Federico
Binda, matematico, ricercatore all’Università degli Studi di Milano.
Nell’attuale situazione
di epidemia da coronavirus bisogna evidenziare che, dopo iniziali resistenze e
pressioni internazionali, e solamente dopo settimane dall’inizio del contagio, i
grandi editori commerciali hanno consentito la libera diffusione degli studi
fatti dagli scienziati di tutto il mondo sul COVID-19. Si è così avuto un traffico
di dati liberi senza precedenti storici al punto che la rivista “Science” l’ha definita
“Una rivoluzione nel modo di comunicare” degli scienziati.
Occorre che la “rivoluzione”
lasci frutti più duraturi e serve, quindi, uno strumento di diritto
internazionale che possa trovare applicazione rapida ed efficace. In mancanza,
il sistema di risposta globale alle emergenze sanitarie (e non solo) non potrà
funzionare adeguatamente.
“Il diritto
internazionale ci offre in questo uno strumento prezioso, che proviene dal
Patto sui diritti economici sociali e culturali, a partire dal “diritto alla
salute”, incluso nell’articolo 14, e il “diritto alla scienza”, incluso
nell’articolo 15, che stabilisce sia il diritto per gli scienziati alle libertà
indispensabile per la ricerca, come quello di condividere le scoperte, sia il
diritto di ogni essere umano a godere dei risultati del progresso scientifico e
delle sue applicazioni.
Il rispetto e
l’applicazione di questi diritti da parte degli Stati garantirebbero (e vincolerebbero)
investimenti adeguati in ricerca e sviluppo, un ampio supporto alle politiche
di Open Science a partire dall’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche,
adeguata formazione degli operatori sanitari, costruzione e manutenzione di
strutture mediche ed ospedaliere oltre che, naturalmente, ad una ampia
diffusione della cultura scientifica nelle varie fasce della popolazione” precisano
Andrea Boggio e Federico Binda, membro di Giunta dell’Associazione Luca
Coscioni.
Per maggiori
approfondimenti: https://www.associazionelucacoscioni.it/notizie/comunicati/coronavirus-la-scienza-aperta-fara-la-differenza/
Commenti
Posta un commento