I referendum sulla giustizia


 Come noto, la Lega e il Partito Radicale hanno depositato presso la Corte di Cassazione sei quesiti per altrettanti referendum sulla giustizia. 

Il comitato promotore, guidato da Matteo Salvini e Maurizio Turco, si propone, attraverso lo strumento referendario, di modificare in maniera sostanziale alcuni aspetti salienti dell’organizzazione della magistratura italiana ma anche di introdurre un limite alla custodia cautelare e, infine, l’abolizione della legge Severino nella parte relativa all’incandidabilità.

Ma vediamo i quesiti in dettaglio:

Primo quesito: responsabilità dei magistrati.

Il quesito interviene sul testo della legge 13/04/1988 n°117 (c.d. legge Vassalli), che disciplina il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e la responsabilità civile dei magistrati. Secondo le norme attualmente in vigore, il cittadino che si reputa danneggiato non può citare direttamente in giudizio il magistrato ma può rivolgersi allo Stato, il quale poi, in caso di esito positivo del giudizio, si rivarrà sul magistrato. Con il referendum, viceversa, si chiede l’eliminazione di questa preclusione e la possibilità per il cittadino di agire per il risarcimento dei danni direttamente nei confronti del magistrato. Secondo Lega e Radicali, infatti, al momento non esiste un “adeguato obbligo di rendere conto delle eventuali decisioni sbagliate assunte”.

Secondo quesito: carriere separate.

Il referendum si propone come obiettivo quello della separazione delle carriere del magistrato che, una volta scelta la funzione giudicante o requirente all’inizio della carriera, non potrebbe più passare all’altra e viceversa. Lo scopo dichiarato è quello di ottenere una netta e definitiva divisione tra la figura del pubblico ministero e quella del giudice.

Terzo quesito: la custodia cautelare.

Il carcere preventivo, secondo i promotori del quesito referendario, deve essere limitato ai soli reati gravi. Con questo referendum, allora, si chiede che venga abrogato il comma 1, lettera c) dell’articolo 274 del codice di procedura penale che, attualmente, prevede l’applicazione della custodia cautelare in carcere in caso di pericolo di reiterazione del reato. La filosofia di fondo espressa dai promotori è che il carcere preventivo è diventato “una forma anticipatoria della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza”.

È assodato, infatti, che la custodia cautelare ha sperimentato gravi abusi, comprovati dalla quantità di richieste di indennizzo per ingiusta detenzione che ogni anno vengono accolte. La “Relazione sull’applicazione delle misure cautelari personali e sui provvedimenti di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione”, predisposta dal Ministero della Giustizia e comunicata alla Presidenza della Camera il 16 aprile 2020, indica, con dati relativi al solo anno 2019, il pagamento da parte dello Stato della somma complessiva di oltre 43 milioni di euro, a fronte di 1.000 ordinanze di liquidazione, ossia di altrettanti casi di detenzione ritenuta ingiusta. Insomma, in appena dodici mesi, almeno mille persone sono finite in carcere o agli arresti domiciliari in procedimenti penali definiti con l’assoluzione, tra l’altro senza aver dato motivo alla ingiusta privazione della libertà.

Quarto quesito: abrogazione della Legge Severino.

Per il Partito Radicale e per la Lega occorre abrogare la Legge Severino (D.Lgs. n°235/2012) in relazione alla la sanzione accessoria della incandidabilità, ineleggibilità, decadenza per parlamentari, consiglieri, governatori regionali, sindaci, amministratori locali. Questa misura viene ritenuta “sproporzionata” dai promotori del referendum e per questo ne viene chiesta l’eliminazione. In caso di successo del referendum, verrebbe meno un automatismo e si lascerebbe ai giudici, caso per caso, la facoltà di decidere, se in caso di condanna, è necessario applicare al reo anche l’interdizione dai pubblici uffici.

Quinto quesito: abolizione raccolta firme lista magistrati.

Oggi, con la normativa in vigore, il magistrato che vuole candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura deve raccogliere dalle venticinque alle cinquanta firme, in buona sostanza aderendo ad una delle correnti della magistratura. Il quesito referendario propone, allora, di abrogare questo vincolo, tornando alla disciplina del 1958 che consentiva a tutti i magistrati di proporsi come membri a Palazzo dei Marescialli senza raccogliere firme e senza il rischio del condizionamento da parte delle correnti.

Sesto quesito: novità sui consigli giudiziari.

I Consigli giudiziari sono organismi territoriali, su base distrettuale, presieduti dal presidente della Corte d’Appello e composti da magistrati togati (con sezione autonoma relativa ai giudici onorari), eletti dai magistrati del distretto, e da membri c.d. laici, nominati dal CNF-Consiglio nazionale forense, su proposta dei locali Consigli dell’Ordine degli avvocati del distretto, tra avvocati con almeno dieci anni di anzianità professionale, e infine da professori universitari di materia giuridica nominati dal Consiglio universitario nazionale, su indicazione dei presidi delle facoltà di giurisprudenza della Regione, col compito di formulare pareri sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari distrettuali, nonché sui provvedimenti relativi alle carriere e all’assegnazione degli affari giudiziari dei magistrati del distretto, anche a titolo consultivo dell’attività del Consiglio Superiore della Magistratura.

Secondo il sesto e ultimo quesito del referendum, si chiede, allora, il diritto di voto agli avvocati e ai professori universitari membri dei consigli giudiziari instituiti presso i singoli distretti di Corte d’Appello sulle valutazioni professionali dei magistrati. In buona sostanza, si chiede di considerare anche i componenti non togati dei collegi giudiziari (come avvocati e professori) nelle valutazioni sulla professionalità dei magistrati.



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