Referendum: l'appello di Eumans al Ministro Colao


 La materia referendaria è sempre complicata e ostica.

Il referendum è uno degli strumenti di democrazia diretta, insieme alla petizione (Art.50 Cost.) e al disegno di legge di iniziativa popolare (Art. 71 Cost.), attraverso i quali si garantisce la partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica del Paese, considerata quale diritto inviolabile.

Al di là e prima ancora dei quesiti c’è la questione della raccolta delle firme (500.000) su cui ritorneremo tra poco e, poi, c’è il tema del quorum, ossia il numero minimo di elettori che devono partecipare alla votazione perché il referendum sia valido e perciò idoneo ad abrogare la disposizione oggetto del quesito: in Costituzione è fissato nella maggioranza degli aventi diritto al voto.

Più precisamente, oltre alla scarna normativa costituzionale, il procedimento referendario è disciplinato dalla Legge n°352/1970 che ne regola l’iter a seconda che il quesito sia proposto da 500.000 elettori o da cinque Consigli regionali. Nella prima ipotesi occorre, infatti, che si costituisca un Comitato dei promotori, ossia un gruppo di almeno dieci cittadini iscritti nelle liste elettorali, che provveda a depositare presso la Corte di Cassazione il quesito che intende sottoporre a referendum abrogativo e si occupi di raccogliere, entro i tre mesi successivi, le firme richieste su appositi fogli vidimati. 

Nel caso di richiesta da parte dei Consigli regionali, invece, il quesito referendario deve essere deliberato a maggioranza assoluta da ciascun Consiglio e viene poi presentato alla Corte di Cassazione tramite appositi delegati.

la Corte di Cassazione, inoltre, svolge anche un controllo di legittimità mediante l’accertamento dell’autenticità delle firme. Ciò avviene anche nell’altra ipotesi, in quanto la Cassazione è tenuta a verificare che le deliberazioni dei Consigli regionali siano avvenute in modo conforme alla legge; terminato il controllo, in entrambi i casi, la questione passa alla Corte Costituzionale che esegue un giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria.

Ai sensi dell’art. 75 Cost., infatti, viene esclusa espressamente la possibilità di presentare richieste referendarie nei confronti di leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto e di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.

Infine, occorre considerare che la Corte Costituzionale, che, come visto, deve pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del referendum, ha esteso l’elenco delle materie non sottoponibili a quesito referendario anche a quei quesiti che non abbiano oggetto unitario o il cui esito positivo paralizzerebbe l’attività di un organo costituzionale, determinando così, un vuoto legislativo.

Di recente, si sono poste anche altre questioni sulla materia referendaria, tematiche, se vogliamo, più evolute ed al passo con i tempi, relative al rapporto tra democrazia e transizione digitale.

Per esempio, sono venute alla ribalta le istanze del co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Gentili, malato di SLA, e di EUMANS, il movimento dei cittadini per la democrazia e la sostenibilità, che hanno proposto un appello al Ministro per la Transizione digitale, Vittorio Colao, chiedendo che i referendum e le leggi popolari possano essere sottoscritti anche per via telematica, attraverso gli strumenti di firma digitale.

In questi giorni, in Italia sono state annunciate le raccolte firme per due campagne referendarie: quella sulla riforma della giustizia e quella sull’eutanasia legale. 

Il referendum abrogativo è un diritto di ogni cittadino garantito dall’articolo 75 della Costituzione, tuttavia ci sono categorie di cittadini (Italiani residenti all’estero, infermi, disabili, abitanti di zone remote del paese) che incontrano ostacoli insormontabili per l’esercizio di questo diritto. 

Sono oltre cinque milioni i cittadini italiani che vivono fuori dai confini italiani. Cinque milioni di cittadini che senza un’accelerazione sulla firma digitale per le iniziative referendarie e di iniziativa popolare rischiano di restare escluse dai loro diritti di partecipazione.

“Nel corso di questo anno di pandemia il mondo della scuola e quello del lavoro sono cambiati molto grazie alla ‘didattica a distanza’ e allo ‘smart working’, perché la democrazia deve essere esente da questa trasformazione digitale? Strumenti come SPID e Carta d’Identità elettronica consentono ormai qualsiasi interazione con la Pubblica Amministrazione in via telematica, ma la raccolta firme per i referendum resta legata alla legge 352 del 1970, una legge di 51 anni fa!

L’Italia segua il modello dell’Unione Europea con le Iniziative dei Cittadini Europei.”.

Giova segnalare che Il governo ha introdotto nella legge di bilancio 2021 la possibilità di raccolta firme online dal 2022, ma purtroppo non basta, abbiamo bisogno che questo cambiamento epocale sia effettivo sin da subito.

Merita una particolare menzione anche L’art. 16-bis della Legge n°120/2020 di conversione del c.d. Decreto Semplificazioni (D.L. 76/2020).

Tale norma ha introdotto, infatti, modifiche all’articolo 14 della Legge n°53/1990 estendendo agli avvocati la competenza ad autenticare le sottoscrizioni previste dalla legge, inclusi i referendum e le proposte di legge di iniziativa popolare. L’articolo 14 della Legge n°53/1990 oggi include anche gli avvocati iscritti all’albo che abbiano comunicato la loro disponibilità all’ordine di appartenenza.

Basta semplicemente inviare una comunicazione tramite PEC. Non sarà necessaria altra autorizzazione.

Il ruolo degli avvocati, a questo punto, diventa fondamentale nell’ambito della raccolta firme perché i legali hanno la facoltà di autenticarle, insieme a cancellieri, notai, parlamentari, sindaci, assessori, consiglieri comunali, consiglieri regionali e dipendenti comunali.


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