Lavoro femminile e asili nido: il Rapporto BES

 


Continua anche oggi l’analisi del Rapporto BES 2020 sul benessere equo e sostenibile, che, in occasione del suo decimo anniversario ed in concomitanza con la crisi pandemica, è realizzato con particolare attenzione e coerenza rispetto alle linee fondamentali del programma #NextGenerationEU.

La pandemia, infatti, secondo il Presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo, ha rappresentato una frenata, o addirittura un arretramento, in più di un settore. Gli indicatori del Bes hanno registrato impatti particolarmente violenti su alcuni progressi raggiunti in dieci anni sul fronte della salute, annullati in un solo anno. L’emergenza sanitaria ha avuto conseguenze pesanti su un mercato del lavoro già poco dinamico e segmentato e ha imposto una battuta di arresto nella partecipazione culturale.

Andando nel dettaglio, e cercando ancora una volta di approfondire il tema delle donne e del lavoro, occorre partire dall’analisi dei dati relativi ai servizi per i più piccoli, questione strettamente legata al lavoro femminile e, quindi, considerare anche la situazione dell’istruzione in Italia.

Orbene, bisogna fare due premesse. La prima consiste nel fatto che l’istruzione, la formazione e il livello di competenze influenzano il benessere delle persone e aprono percorsi e opportunità altrimenti preclusi. La seconda è che la pandemia del 2020, con la conseguente chiusura degli istituti scolastici e universitari e lo spostamento verso la didattica a distanza, o integrata, ha acuito le disuguaglianze già presenti in Italia rispetto al resto d’Europa.

Come si diceva all’inizio, concentriamo il discorso sui più piccoli in quanto più strettamente collegato al tema donne e lavoro.

Dal Rapporto BES emerge che pochi bambini frequentano l’asilo nido.

Testualmente: “Il primo passo del percorso formativo è l’inserimento dei bambini in età 0-2 anni nei servizi dedicati alla prima infanzia. Le primissime esperienze dei bambini sono alla base di ogni apprendimento successivo, hanno effetti positivi sulle loro abilità comportamentali e alleggeriscono il carico di lavoro familiare gestito soprattutto dalle donne. Investire sull’offerta e sulla domanda di asili nido può, dunque, avere un effetto positivo nel contrasto alle diseguaglianze di opportunità per i bambini, nell’incremento della parità di genere e della condivisione dei carichi familiari. Tuttavia, non c’è stato negli anni né un investimento adeguato né una partecipazione diffusa alla formazione della primissima infanzia soprattutto nel Mezzogiorno. Anche se l’inserimento dei bambini di 0-2 anni nelle strutture per la primissima infanzia è cresciuto nel tempo, dal 15,4% nel triennio 2008-2010 al 28,2% nel triennio 2018-2020, il livello è inferiore all’obiettivo europeo di almeno 1 bambino su 3 fissato per il 2010”.

Come intuibile, l’inclusione più elevata si registra nelle regioni del Nord (43% dei bambini di 0-2 anni iscritti agli asili nido nella provincia autonoma di Trento, 41,7% in Valle D’Aosta, 34,5% in Veneto), del Centro (42,6% in Toscana, 32,4% in Umbria e 33,8% nel Lazio) e in Sardegna (28,8%). 

L’accesso ai servizi educativi per la fascia d’età 0-2 anni risente dei forti ritardi e delle disomogeneità territoriali cui siamo tristemente abituati in relazione a tante altre situazioni di interesse sociale ed educativo; è ancora esteso, infatti, il ritardo del Mezzogiorno, seppure molte delle regioni del Sud riportino, negli ultimi anni, un miglioramento importante. 

Nell’anno scolastico 2018/2019 sono stati operativi sull’intero territorio nazionale oltre 13.000 servizi per la prima infanzia. Tuttavia, la copertura dei posti, rispetto ai bambini residenti fino a 2 anni compiuti, arriva a malapena al 25%, percentuale assai lontana dal parametro del 33% fissato dall’Unione Europea per il 2010. 

L’attitudine ad usufruire dell’asilo nido è, pertanto, innanzitutto legata alla disponibilità di strutture, ma sconta anche l’influenza di ulteriori fattori socio-economici. 

Precisa il Rapporto: “il reddito netto annuo delle famiglie con bambini che usufruiscono del nido è mediamente più alto di quello delle famiglie che non ne usufruiscono; bambini con genitori più istruiti accedono più di frequente ai servizi educativi. Sono dunque le famiglie che si trovano in situazioni di maggiore vulnerabilità ad avere difficoltà ad accedere ai servizi per la prima infanzia, confermando come la disuguaglianza socio-economica possa tradursi in disuguaglianza di opportunità.”.

Fortunatamente la situazione migliora in relazione al secondo tratto del percorso formativo, la partecipazione dei bambini tra i 3 e i 5 anni alla scuola dell’infanzia, che rappresenta un servizio ampiamente utilizzato su tutto il territorio italiano. 

Peraltro, soprattutto nel Mezzogiorno, la possibilità di anticipare l’ingresso nella scuola dell’infanzia prima dei 3 anni è ampiamente sfruttata. 

Più in dettaglio: “Nell’anno educativo 2018/2019, il 14,8% dei bambini di 2 anni hanno frequentato la scuola dell’infanzia, con quote superiori al 20% in Calabria (29,1%), Campania (25%), Basilicata (23,7%), Molise (23,3%), Abruzzo e Puglia (22,5%), Sicilia (20,1%). Arrivati all’età di 4-5 anni, la quasi totalità dei bambini sono, comunque, inseriti nei percorsi educativi: frequentano la scuola dell’infanzia o il primo anno di scuola primaria circa il 95% di bambini (con valori medi del 97,6% nel Mezzogiorno, 92,3% nel Centro e 93,9% nel Nord), una percentuale che corrisponde anche al target europeo da raggiungere nel 2020.”.

Concludendo: si può sostenere, dati alla mano, che lo svantaggio delle donne con figli nell'accesso al mondo del lavoro riguarda tutta Italia e tutta Europa, anche se in misura diversa. Ciò che è certo è che uno dei fattori determinanti nell'aggravare la situazione occupazionale delle madri è l'inaccessibilità dei servizi educativi per la prima infanzia. Sia per una carenza di strutture, sia per questioni economiche.

In Svezia e Danimarca, ad esempio, dove più della metà dei bimbi di età inferiore ai 2 anni frequenta l'asilo nido, le differenze nell'accesso al lavoro risultano più limitate.

In Italia, del resto, le regioni come Valle d'Aosta, Emilia Romagna, Toscana con la più alta offerta di asili nido sono anche le stesse che presentano i più alti tassi di occupazione femminile. 

Al contrario, le grandi regioni del Mezzogiorno riportano situazioni preoccupanti riguardo entrambe le variabili. In particolare Calabria, Sicilia e Campania presentano una copertura di asili nido che non supera il 10% e un tasso di occupazione femminile inferiore al 30%, con la sola relativa eccezione della Campania (31,6%).


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