Lavoro e conciliazione dei tempi di vita: il Rapporto BES

 


A seguito della “Dichiarazione di Istanbul” del 2007 e del “Progetto globale sulla misura del progresso delle società” promosso dall’OCSE, sono state avviate numerose iniziative di carattere metodologico e politico su come andare “oltre il Pil”.

Nel 2010, anche l’Italia si inserisce in questo dibattito internazionale promuovendo il progetto BES per la misura del Benessere equo e sostenibile. 

Giunto all’ottava edizione, il Rapporto Bes, pubblicato il 10 marzo 2021, offre un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori suddivisi in 12 domini.

In questo articolo pongo soprattutto attenzione al capitolo “Lavoro e conciliazione dei tempi di vita”.

Emergono dati molto interessanti, in parte sicuramente già noti ma certamente meritevoli di essere analizzati e studiati.

Partiamo da un fatto: in dieci anni i tassi di occupazione in Italia sono rimasti pressoché stabili, con punte negative nelle fasi di recessione. Il lento recupero dell’occupazione, dopo la caduta subita negli anni della crisi economico finanziaria, non è stato sufficiente a far ritornare ai livelli del 2008 gli uomini, i giovani, i residenti del Mezzogiorno e i meno istruiti. 

I gap con il resto dell’Europa si sono ulteriormente ampliati e sono decisamente significativi per le donne, sulle quali continua a gravare, nonostante i miglioramenti nel corso dell’ultima decade, il carico di lavoro domestico e di cura. 

Nel 2010, ad esempio, il tasso di occupazione delle donne di 20-64 anni in Italia era di 11,5 punti più basso rispetto alla media europea; nel 2020 tale divario è cresciuto, toccando circa 14 punti in meno. 

“L’indice che misura l’asimmetria nella distribuzione delle ore dedicate alle attività domestiche è elevato soprattutto nel Mezzogiorno, dove sono stati necessari anni per raggiungere il livello acquisito nel Nord già nel 2008. Nelle regioni settentrionali, comunque, non si è ancora pervenuti a una distribuzione equa: nel periodo 2018/19, la percentuale del carico di lavoro familiare svolto dalle donne tra i 25 e i 44 anni, sul totale del tempo di lavoro familiare delle coppie in cui entrambi sono occupati (indice di asimmetria), si attestava ancora al 60,9%.”.

Dalla lettura del Rapporto BES emerge che uno dei fattori chiave sulle prospettive lavorative è l’istruzione. 

Cito testualmente: “il tasso di occupazione dei laureati – gli unici ad aver recuperato i livelli pre-crisi – è più alto rispetto a quello di coloro che hanno un titolo di studio più basso: in media 13 punti in più rispetto ai diplomati e ben 27 punti in più se il confronto viene fatto con chi ha al massimo la licenza media, valore che raggiunge quasi 40 punti percentuali (+39,7) tra le donne.”.

Significativa è la considerazione che l’istruzione si ricollega anche a questioni come la longevità e un migliore stato di salute generale. 

Tornando al lavoro, occorre rimarcare un punto nevralgico: “Possedere un lavoro dignitoso, adeguatamente remunerato, sicuro e rispondente alle competenze, è un aspetto che contribuisce in modo decisivo al benessere delle persone. La mancanza di una occupazione di qualità ha un impatto negativo sul livello di benessere, così come lo ha una distribuzione poco equa degli impegni lavorativi, che impedisce di conciliare tempi di lavoro e tempi di vita familiare e sociale. L’Italia, rispetto ai risultati raggiunti in media dai Paesi europei, si caratterizza per un basso livello dei tassi di occupazione e un ampio gap di genere, sintesi anche delle profonde disuguaglianze territoriali, generazionali e di cittadinanza. Le donne, i lavoratori del Mezzogiorno, i giovani e gli stranieri presentano anche una peggiore qualità del lavoro, in termini di instabilità, bassa remunerazione, irregolarità dei contratti e sicurezza sul lavoro. Queste differenze si sono ampliate nel periodo di crisi pandemica, attraverso significativi impatti negativi sull’occupazione, soprattutto nel settore dei servizi”.

Parlando delle conseguenze della crisi occupazionale causata dall’emergenza sanitaria si deve tristemente sottolineare come il tasso di occupazione femminile, già significativamente più basso rispetto agli altri Paesi del nostro continente, diminuisce di 2,3 punti percentuali (52,1%), invertendo la tendenza di crescita iniziata nel 2015. Di conseguenza, il divario di genere, che è sempre stato più profondo di quello medio europeo, aumenta ulteriormente. Più precisamente nei paesi Ue27 il tasso di occupazione maschile supera di 11,2 punti percentuali quello femminile, mentre in Italia il distacco è di ben 19,9 punti percentuali.

Come ha influito la pandemia da Covid-19 e le misure di lockdown sul lavoro femminile nel Belpaese? 

Il rapporto BES ci conferma che nel secondo trimestre del 2020 sono mutate anche le problematiche da affrontare per conciliare il lavoro e i tempi di vita. 

Nel dettaglio: laddove è stato possibile il lavoro da casa, “questo si è affiancato alla necessità dei figli di svolgere la didattica a distanza creando, talvolta, un problema di sovrapposizione nelle stesse fasce orarie di tempo di lavoro e cura dei figli, soprattutto per le madri che mantengono il carico di lavoro di cura maggioritario. Quando, invece, non ci sono state alternative al lavoro in presenza, il venir meno oltre che dei servizi formali, anche di quelli informali, come l’affidamento ai nonni, ha comportato grandi difficoltà nel gestire le esigenze familiari parallelamente a quelle del lavoro.”.

Ne emerge un quadro allarmante nel quale lo svantaggio delle madri occupate è palese: per le donne tra i 25 e i 49 anni, nel secondo trimestre 2020, il tasso di occupazione passa dal 71,9% per le donne senza figli al 53,4% per quelle che ne hanno almeno uno di età inferiore ai 6 anni.

In conclusione: “Riuscire a conciliare lavoro e tempi di vita è un obiettivo fondamentale per il benessere sia degli uomini che delle donne, ma nel nostro Paese si fatica a trovare un equilibrio. Tra le ragioni che complicano il raggiungimento di questo obiettivo vi è una ripartizione del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia ancora squilibrata a sfavore delle donne, che le costringe più spesso a rimodulare le attività extradomestiche in funzione del lavoro di cura. Nel periodo 2018/19, la percentuale del carico di lavoro familiare svolto dalle donne tra i 25 e i 44 anni sul totale del tempo di lavoro familiare svolto da coppie in cui entrambi sono occupati (indice di asimmetria) si attesta ancora al 63%, anche se tendenzialmente l’indice è in diminuzione rispetto al biennio precedente. La percentuale è più alta nel Mezzogiorno (69,7%) rispetto al Nord (60,9%) e al Centro (62,4%).”.


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