Covid-19: il Tribunale di Belluno bacchetta i sanitari novax

 


Come è andata finire la vicenda degli operatori sanitari di Belluno che avevano rifiutato il vaccino anti-Covid?

Ne avevamo parlato a marzo scorso quando il Tribunale di Belluno, Sezione Lavoro, aveva rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. dei lavoratori che in conseguenza della mancata disponibilità a sottoporsi al vaccino contro il COVID-19, erano stati costretti dai datori di lavoro ad usufruire di periodi di ferie “forzosa”.

Allora, il Giudice del Lavoro aveva rigettato il ricorso, ricordando l’obbligo del datore di lavoro di tutelare la salute sul luogo di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ed il dettato dell’art. 2109 c.c., a mente del quale il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. Avverso questa pronuncia, i lavoratori, il successivo 6 aprile, proponevano reclamo al Collegio del Tribunale di Belluno.

Giova precisare che nel periodo intercorrente tra la pronuncia dell’ordinanza reclamata e la proposizione del reclamo entrava in vigore, in data 1° aprile 2021, il decreto legge n°44 che, all’art. 4, ha dettato “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARSCoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario”. L’art. 4 del decreto legge n°44/21, insomma, ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.

Ad ogni buon conto, nel ricorso, i lavoratori, pur dando atto dell’introduzione dell’obbligo vaccinale ad opera del decreto legge n°44/2021, chiedevano comunque la riforma dell’ordinanza.

Più precisamente, in via principale chiedevano di adottare “i provvedimenti necessari e sufficienti a dichiarare il diritto dei ricorrenti di scegliere liberamente se vaccinarsi o meno, al netto del decreto o comunque per i periodi non coperti dal decreto, senza che ciò comporti il loro collocamento in permessi o ferie forzate, la loro sospensione dal lavoro senza retribuzione o, peggio, il loro licenziamento, sospendendo e/o annullando i provvedimenti datoriali che nel frattempo sono stati adottati e dovessero essere adottati in tal senso”. 

Inoltre, in via subordinata, sollevavano questione di legittimità costituzionale in merito all’art. 4 del decreto 1° aprile 2021, n°44, ritenendolo in contrasto con l’art. 32 della Costituzione nella parte in cui prevede l’obbligo di vaccinazione per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.

In merito alla prima questione, il Collegio, rilevato il difetto di interesse ad agire in sede cautelare in capo alla parte reclamante e dichiarata l’inammissibilità del reclamo ha precisato: “deve ritenersi venuto meno l’interesse ad agire in capo alle reclamanti, risultando introdotto, altresì per gli operatori socio sanitari, e quindi per la categoria di lavoratori a cui appartengono le reclamanti, l’obbligo vaccinale; deve conseguentemente ritenersi giustificata, sulla base del predetto obbligo, l’adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti volti a inibire la presenza sul luogo di lavoro, nei particolari ambiti previsti dal decreto, di lavoratori che abbiano rifiutato la vaccinazione anti COVID-19”.

In ordine alla questione di legittimità costituzionale prospettata dai lavoratori, il Tribunale di Belluno ha ritenuto la stessa manifestamente infondata, “dovendosi ritenere prevalente, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID-19, il diritto alla salute dei soggetti fragili, che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario in quanto bisognosi di cure, e, più in generale, il diritto alla salute della collettività, nell’ambito della perdurante emergenza sanitaria, derivante dalla pandemia da COVID-19.”.

Il Tribunale, peraltro, in questa interessante ordinanza del 6 maggio scorso, richiama in motivazione numerosi precedenti della Consulta utili a chiarire la questione.

Innanzitutto, allora, occorre rammentare la sentenza n°5 del 2018 della Corte Costituzionale in materia di legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale contro il morbillo, laddove si può leggere che “la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n°268 del 2017)”; e ancora: “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost., laddove il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (cfr. sentenze n°258 del 1994 e n°307 del 1990)”. 

Proprio la citata sentenza n°5/2018 della Corte Costituzionale, infine, ribadisce anche che “il contemperamento di questi diversi principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n°268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n°282 del 2002).”.

Concludo con due osservazioni di Michele Miscione - Professore ordinario di Diritto del lavoro, apparse sul “Quotidiano Giuridico” di oggi, utili, se non proprio necessarie, a capire meglio la questione no-vax ed esercenti professioni sanitarie.

“…gli obbligati formalmente in base al D.L. 44/2021, che rifiutino di vaccinarsi, sono soggetti a specifica procedura con assegnazione a mansioni equivalenti o anche minori, in quest’ultimo caso con la retribuzione inferiore, e solo in mancanza di qualunque mansione utile con sospensione senza retribuzione e presumibilmente senza i benefici dell’anzianità. Comunque, è sempre escluso il licenziamento, anche se una sospensione senza alcun trattamento non è un licenziamento, ma ci rassomiglia molto. Al momento, comunque, la disciplina del D.L. 44/2021 è in scadenza al 31 dicembre 2021, anche se nessuno è in grado di prevedere il futuro.”.

“…Va ricordato che la Risoluzione n. 2361 del 26 febbraio 2021 del Consiglio d’Europa ha riaffermato la libertà di non vaccinarsi ed il divieto di discriminare chi rifiuta la vaccinazione: queste riaffermazioni sono importanti, anche se non vincolanti, e di esse è stato tenuto contro nell’approvazione del D.L. 44/2021, ma non escludono le doverose tutele in caso di necessità pubblica.”.


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