La
Direttiva Ue 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016
sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del
diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, finalmente, dopo
anni dovrebbe entrare proprio oggi a pieno titolo nel sistema giuridico
italiano.
Solo
la settimana scorsa, invece, sembrava che non si riuscisse a trovare un accordo
in Parlamento a causa del netto rifiuto del Movimento Cinque Stelle.
Lo
sblocco, che ha costretto i giustizialisti del M5S a capitolare, è stato
determinato da un emendamento di Enrico Costa, responsabile Giustizia di
Azione, e di Riccardo Magi, di Più Europa, che semplicemente dispone: “entra
nella legislazione italiana la direttiva Ue 2016/343 ecc…”.
Come
dice Enrico Costa, giustamente soddisfatto, “un tema sollevato da Azione e da
Più Europa trova la condivisione di tutte le forze politiche e si tratta di un
passo avanti sulla strada dello Stato di diritto". Soddisfatta anche Lucia
Annibali, la responsabile Giustizia di Italia Viva, che afferma: “Sul tema
della giustizia si ritorna a seguire il dettato costituzionale, un cambio di
passo che ci soddisfa pienamente”.
Anche
la Guardasigilli Marta Cartabia esprime soddisfazione: “È una pagina molto
bella. Un accordo su un principio fondamentale. Un mattone della costruzione
che stiamo per disegnare insieme. Un momento da ricordare come metodo”.
Giova
ribadire che la presunzione di innocenza e il diritto a un equo processo sono
sanciti negli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea («Carta»), nell'articolo 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («CEDU»),
nell'articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici («ICCPR»)
e nell'articolo 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Il
cuore della direttiva è contenuto nel sedicesimo “considerando” che
testualmente si riporta: “La presunzione di innocenza sarebbe violata se
dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche o decisioni
giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l'indagato o
imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata
legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero
rispecchiare l'idea che una persona sia colpevole. Ciò dovrebbe lasciare
impregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare la
colpevolezza dell'indagato o imputato, come l'imputazione, nonché le decisioni
giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono gli effetti di una pena
sospesa, purché siano rispettati i diritti della difesa. Dovrebbero altresì
restare impregiudicate le decisioni preliminari di natura procedurale, adottate
da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o
su indizi di reità, quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare,
purché non presentino l'indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere
una decisione preliminare di natura procedurale, l'autorità competente potrebbe
prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell'indagato o
imputato tali da giustificare la decisione e la decisione potrebbe contenere un
riferimento a tali elementi.”.
La
direttiva, insomma, intende rafforzare il diritto a un equo processo nei
procedimenti penali, stabilendo norme minime comuni relative ad alcuni aspetti
della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo.
Altro
aspetto fondamentale riguarda le modalità delle cd. «dichiarazioni pubbliche
rilasciate da autorità pubbliche», definizioni queste contenute nel
diciassettesimo e nel diciottesimo “considerando”.
Ebbene,
intese queste come “qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato e
proveniente da un'autorità coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto
tale reato, quali le autorità giudiziarie, di polizia e altre autorità preposte
all'applicazione della legge, o da un'altra autorità pubblica, quali ministri e
altri funzionari pubblici” sorge l’obbligo generale di non presentare gli
indagati o imputati come colpevoli; inoltre, le autorità competenti devono
astenersi dal presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in tribunale o
in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica, quali
manette, gabbie di vetro o di altro tipo e ferri alle gambe; devono, inoltre,
evitare di presentare gli indagati o imputati, in tribunale o in pubblico, in
uniformi carcerarie, onde evitare di dare l'impressione che siano colpevoli
(cfr. ventesimo e ventunesimo “considerando”).
Fondamentali,
a parere di chi scrive, anche i “considerando” dal ventiduesimo al ventottesimo
che provo a sintetizzare negli aspetti più salienti.
Innanzitutto
viene in rilievo il tema dell’onere della prova della colpevolezza di indagati
e imputati che, secondo la direttiva, incombe alla pubblica accusa e per cui qualsiasi
dubbio dovrebbe valere in favore dell'indagato o imputato. La presunzione di
innocenza risulterebbe violata, infatti, qualora l'onere della prova fosse
trasferito dalla pubblica accusa alla difesa, fatti salvi eventuali poteri di
accertamento dei fatti esercitati d'ufficio dal giudice, la sua indipendenza
nel valutare la colpevolezza dell'indagato o imputato e il ricorso a
presunzioni di fatto o di diritto riguardanti la responsabilità penale di un indagato
o un imputato.
Anche
sul diritto al silenzio viene in rilievo come questo sia un aspetto importante
della presunzione di innocenza che dovrebbe fungere da protezione contro
l'autoincriminazione.
Infatti,
secondo la direttiva anche il diritto di non autoincriminarsi è un aspetto
importante della presunzione di innocenza. Gli indagati e imputati, pertanto,
se invitati a rilasciare dichiarazioni o a rispondere a domande, non dovrebbero
essere costretti a produrre prove o documenti o a fornire informazioni che
possano condurre all'autoincriminazione.
In
buona sostanza, il diritto al silenzio e il diritto di non autoincriminarsi
implicano che le autorità competenti non dovrebbero costringere indagati o
imputati a fornire informazioni qualora questi non desiderino farlo.
Infine,
viene ulteriormente chiarito che l'esercizio del diritto al silenzio o del
diritto di non autoincriminarsi non deve essere utilizzato contro l'indagato o
imputato né essere considerato di per sé quale prova che l'indagato o imputato
in questione abbia commesso il reato ascrittogli.
Molte
altre sono le questioni fondamentali previste dalla direttiva e formalizzate
nei suoi sedici articoli come, ad esempio, il diritto dell’imputato di
presenziare al processo.
Prevedo
forti mal di pancia per molte Procure abituate a conferenze stampa senza
contraddittorio, per tanti giornali che hanno vissuto per decenni di veline
provenienti dagli uffici dell’accusa e per tanti partiti o movimenti che hanno
lucrato voti e consenso con il loro giustizialismo d’accatto.
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