Gli operatori sanitari e la vaccinazione obbligatoria



 Come noto, l’art. 32 della Costituzione contempla che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Manca, pertanto, al momento una disposizione legislativa specifica che renda obbligatorio il vaccino in via generalizzata per tutti i dipendenti.

Per la verità, nella conferenza stampa del 26 marzo u.s. all'indomani del Consiglio europeo e della Cabina di regia del Governo, si è ampiamente discusso dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari.

“Non va bene che operatori sanitari non vaccinati siano in contatto con malati né che siano messi nelle condizioni di essere in contatto con malati”, ha illustrato il premier Mari Draghi. A tal proposito anche il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato: “Al vaglio intervento normativo, ma è solo quota residuale quella di operatori sanitari non vaccinati”. L'ipotesi di lavoro non riguarderebbe però, a quanto si è appreso dopo l'annuncio di Draghi e Speranza, tutto il personale sanitario ma solo chi lavora a contatto diretto con i pazienti. Sul testo sono al lavoro tre Ministeri: Giustizia, Sanità e Lavoro oltre alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Nel frattempo, sul fronte giurisprudenziale, il Tribunale di Belluno, sezione lavoro, con ordinanza n°12 del 19 marzo 2021, ha respinto il ricorso ex art. 700 c.p.c. di alcuni dipendenti operatori sanitari collocati in ferie dal datore di lavoro per aver rifiutato di sottoporsi al vaccino anti-COVID-19. 

Questo provvedimento giudiziario entra a pieno titolo nel dibattito sull’obbligo vaccinale per il Covid-19 e stabilisce una importante linea d’azione per il datore di lavoro che deve gestire il rifiuto del dipendente alla vaccinazione.

Il fatto che ha originato il processo è abbastanza semplice: dei dipendenti, nella specie degli operatori sanitari, hanno declinato l’invito a sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19. Pertanto, il datore di lavoro li ha collocati in ferie “forzata” anticipata. A questo punto, i lavoratori hanno proposto un ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. innanzi al Tribunale di Belluno, quale Giudice del Lavoro competente, che, opportunamente, a parere di chi scrive, ha rigettato la domanda in virtù dell’insussistenza sia del fumus boni iuris che del periculum in mora.

Quanto alla mancanza del “buon diritto”, il Giudice ha rimarcato che, a mente dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro è tenuto ad adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Tra questi criteri di tutela è, sicuramente, incluso il vaccino anti-COVID, vieppiù considerato che i ricorrenti erano adibiti a mansioni che implicavano l’avere contatti con la clientela e, pertanto, con il rischio di essere contagiati. Pertanto, secondo la pronuncia, il datore di lavoro aveva correttamente provveduto ad inibire l’accesso dei dipendenti non vaccinati nel rispetto del dovere di sicurezza previsto dal citato art. 2087 c.c.

In sintesi: l’adempimento di questo dovere da parte del datore prevale sul diritto dei lavoratori a usufruire delle ferie in un periodo diverso.

Peraltro, secondo il Giudice del Lavoro di Belluno, nel caso di specie, non sussiste neanche il periculum in mora, poichè, a ben vedere, i dipendenti non hanno subìto nessuna perdita economica in quanto hanno continuato a percepire la loro retribuzione.

Si aggiunga che in dottrina, come ad esempio Maurizio Del Conte, Professore Ordinario dell’Università Bocconi, c’è anche già chi è arrivato a sostenere che sia possibile sospendere dalla prestazione lavorativa e dalla retribuzione il lavoratore che rifiuta il vaccino, laddove il datore di lavoro metta la vaccinazione a disposizione del lavoratore la cui attività sia fortemente connotata dalla esposizione al virus (ad esempio personale medico, infermieristico ecc...). 

Ciò a condizione che: il datore di lavoro abbia fatto la valutazione del rischio sull’agente biologico Sars-Cov-2 (se anche non c’è una valutazione specifica sul rischio di esposizione al virus Sars-Cov-2 ma il DVR prevede una valutazione generica di esposizione ad agenti infettati, si potrebbe sostenere che questo requisito sia soddisfatto); il medico competente esprima parere per cui segnala la necessità/opportunità di adottare il vaccino come misura protettiva.

Insomma, il dibattito giuridico sull’obbligo vaccinale per i lavoratori è aperto e sicuramente si segnalerà per una forte vivacità.


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