La Consulta e il gratuito patrocinio per le vittime di violenze

La Consulta, guidata dal nuovo presidente Giancarlo Coraggio, apre il 2021 con un importante verdetto a tutela di donne e minori vittime di violenza.
La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza n°1 dell’11 gennaio 2021, ha ritenuto ragionevole l’art. 76, comma 4-ter, d.P.R. n°115 del 2002, norma che dispone l’ammissione automatica al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dei delitti di maltrattamenti contro familiari o conviventi, pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, violenza sessuale, atti persecutori, prostituzione minorile, violenza sessuale di gruppo, pornografia minorile e tanti altri gravi reati normalmente perpetrati contro donne e minori a prescindere dai limiti di reddito previsti per la generalità dei casi.
La pronuncia del Giudice delle Leggi prende le mosse dall’ordinanza del 13 dicembre 2019 con la quale il GIP del Tribunale di Tivoli sollevava questione di legittimità costituzionale del citato art. 76, comma 4-ter, del Testo unico sulle spese di giustizia nella parte in cui, come interpretato dalla Corte di Cassazione, determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati, indicati nella norma medesima, di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, a prescindere dai limiti di reddito e senza riservare alcuno spazio di discrezionalità valutativa al giudice.
Per la Suprema Corte, infatti, sussiste il diritto della persona offesa da uno dei reati indicati nella norma a fruire del patrocinio a spese dello Stato per il solo fatto di rivestire tale qualifica, a prescindere dalle proprie condizioni di reddito; ciò implica che queste non devono neanche essere oggetto di dichiarazione o attestazione ai sensi del successivo art. 79, comma 1, lettera c), del d.P.R. n°115 del 2002. 
Tale lettura secondo gli Ermellini è insita nella ratio della norma, «posto che la finalità della norma in questione appare essere quella di assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale» (Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 20 marzo 2017, n°13497, successivamente recepita anche dalla Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 23 novembre 2018, n°52822).
Ma torniamo alla importante pronuncia della Corte Costituzionale che cristallizza definitivamente l’interpretazione della norma. Ne riporto i passaggi essenziali.
“La scelta effettuata con la disposizione in esame – che va, appunto, ricondotta nell’alveo della disciplina processuale – rientra nella piena discrezionalità del legislatore e non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento, considerata la vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma medesima oltre che le esigenze di garantire al massimo il venire alla luce di tali reati.
Nel nostro ordinamento giuridico, specialmente negli ultimi anni, è stato dato grande spazio a provvedimenti e misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale, anche alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori. Di qui la volontà di approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti.
Ed infatti, nel preambolo del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella legge n. 38 del 2009, che ha introdotto la disposizione in esame, si richiama «la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati». Non diverse sono le considerazioni sviluppate nel preambolo del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, nella legge n. 119 del 2013.
È evidente, dunque, che la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità. Valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore.
A queste argomentazioni sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore di accordare il beneficio del patrocinio a spese dello Stato sganciandolo dal presupposto della non abbienza, va aggiunta la considerazione che nel nostro ordinamento sono presenti altre ipotesi in cui il legislatore ha previsto l’ammissione a tale beneficio a prescindere dalla situazione di non abbienza.”.

Un buon auspicio per il nuovo anno.


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