Il cognome della madre torna alla Consulta

Lo scorso 14 gennaio, l’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale ha reso noto che la Consulta ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Bolzano sull’articolo 262, primo comma, del Codice Civile là dove non consente ai genitori di assegnare al figlio, nato fuori dal matrimonio ma riconosciuto, il solo cognome materno. In attesa del deposito dell’ordinanza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che il collegio ha deciso di sollevare davanti a se stesso la questione di costituzionalità del primo comma dell’articolo 262 del Codice civile che stabilisce come regola l’assegnazione del solo cognome paterno. La Corte ha ritenuto che tale questione sia pregiudiziale rispetto a quella sollevata dal Tribunale di Bolzano. Le motivazioni dell’ordinanza saranno depositate nelle prossime settimane.

Per la verità, il Giudice delle Leggi aveva già affrontato, almeno parzialmente, la questione con la sentenza n°286/2016 dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dal combinato disposto delle disposizioni del codice civile (artt. 237, 262 e 299) e di quelle, anche di natura regolamentare, relative all’Ordinamento dello Stato civile. 

Nel dettaglio: veniva dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, c.c., (cognome del figlio nato fuori dal matrimonio) nella parte in cui non consentiva ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno e dell’art. 299, terzo comma, c.c. (cognome dell’adottato) nella parte in cui non consentiva ai coniugi in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione. 
In buona sostanza, sin dal 2016 veniva rimossa dall’ordinamento la preclusione della possibilità di attribuire, al momento della nascita, di comune accordo, anche il cognome materno.
Insomma, la Corte ha già sancito che tale impedimento normativo pregiudica il diritto all’identità personale del minore e, al contempo, costituisce un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare.
Letteralmente: “la piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori”. D’altro canto “la previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno”.
Inoltre, si aggiunga che “il criterio della prevalenza del cognome paterno, e la conseguente disparità di trattamento dei coniugi, non trovano alcuna giustificazione né nell’art. 3 Cost., né nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare, di cui all’art. 29, secondo comma, Cost.”.
E ancora, come già evidenziato sin dagli anni Settanta dai Giudici Costituzionali “è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo”, poiché l’unità “si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità” (cfr. sentenza n°133/1970).
Nel 2021 la Consulta ha l’occasione di ritornare sul tema, affrontandolo e risolvendolo alla radice, considerato anche il mancato intervento del Legislatore, finora inerte rispetto alle nuove esigenze sociali e agli impegni presi in sede europea, come il Trattato di Lisbona che, tra le altre cose, vieta ogni discriminazione fondata sul sesso.
Un’eventuale pronuncia di incostituzionalità, inoltre, metterebbe finalmente il Belpaese in linea con la giurisprudenza della CEDU considerato che proprio la Corte di Strasburgo nel 2014 ha condannato il nostro Paese, ritenendo “discriminatoria verso le donne” e una vera e propria violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo l’assenza di una deroga all’automatica attribuzione del cognome paterno.

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