A che punto è l'antiproibizionismo?

 

Ancora nel 2020 in Italia infuria la battaglia tra proibizionismo e antiproibizionismo, soprattutto in materia di cannabis.

Al momento, in Commissione Giustizia alla Camera, sono in esame due proposte di legge, tra loro agli antipodi, che intendono riformare l’art. 73 del Testo unico sugli stupefacenti (D.P.R. 309/1990) in materia di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

La proposta del leghista Molinari, in estrema sintesi, spinge per ulteriori aggravamenti di pena.

La riforma auspicata dal radicale Magi, invece, punta a depenalizzare il possesso di droghe leggere, ridurre le pene e rafforzare l’attenuante della lieve entità, che diventerebbe una fattispecie autonoma.

Inoltre, si propone di decriminalizzare la coltivazione domestica ad uso personale, in conformità alla giurisprudenza più recente delle Sezioni Unite della Cassazione. 

“Una soluzione che la maggioranza, con M5S e Sel più convinti, e una parte di Pd e Iv, considera con favore. È a loro che rivolgo il mio appello – dice Magi al Riformista in un'intervista della scorsa settimana– Spero in una riforma coraggiosa che riconosca il fallimento storico dell’approccio repressivo".

Per affrontare la discussione, in Commissione sono stati sentiti tre esperti: Antonino Maggiore, direttore centrale per i servizi antidroga preso il Ministero dell’Interno, il Procuratore Generale Anti-mafia Cafiero De Raho e Mauro Palma, Garante dei detenuti.

Ne è emerso un quadro desolante che vede un ingolfamento della macchina giudiziaria e del sistema carcerario anche per casi che non rivestono alcuna pericolosità sociale.

Illuminante a tal proposito è quanto evidenziato dal Garante dei detenuti, Palma: "Oggi i numeri dei detenuti sono elevati nonostante i provvedimenti recentemente adottati. Per questo la concezione di una possibile gradazione di intervento dello Stato è a mio parere un elemento di valore" vieppiù che "il 29,7% dei carcerati è colpevole di reati inerenti allo spaccio di sostanze stupefacenti".

Insomma, circa il 30% di chi occupa gli angusti spazi carcerari è nelle patrie galere per reati connessi alla detenzione a fini di spaccio.

Ancora più inquietanti, se possibile, le parole di Maggiore: "Le denunce a piede libero per piccolo spaccio sono pari al 31% del totale. Ciò vuol dire che nel 69% dei casi le polizie arrestano responsabili anche di situazioni di lieve entità. Il dato percentuale sembra tale da rendere non essenziale un ulteriore irrigidimento del sistema con riguardo una misura pre-cautelare dell’arresto". 

Parallelamente al lavoro parlamentare, proseguono anche le azioni di disobbedienza civile.


Matteo Mainardi, attivista e dirigente di Radicali italiani e dell’associazione Luca Coscioni, insieme a oltre 2500 persone, dal 20 aprile scorso ha aderito alla campagna #IoColtivo (www.iocoltivo.eu): una iniziativa di disobbedienza civile collettiva promossa da Meglio Legale, Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Dolcevita, Forum Droghe, Freeweed e un network di altre venti associazioni.

Mainardi spiega così il senso della sua azione nonviolenta: "Sono uno dei 6 milioni di consumatori di cannabis in Italia e uno dei 100mila italiani che la coltivano in casa ogni anno. Ho iniziato ad autoprodurre per due motivi: da consumatore voglio avere il diritto a una sostanza controllata e non una sostanza tossica come quella che si trova nelle piazze di spaccio. Inoltre, non voglio che dietro il mio consumo ci sia una rete di organizzazioni criminali. Chiedere la legalizzazione della cannabis vuol dire far fronte anche a questi due problemi sociali fondamentali".

Cosa ci porterà il 2021?

Pare che un fronte antiproibizionista trasversale si stia davvero concretizzando in Parlamento ma è troppo presto per cantare vittoria.

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