Da Kelsen a Giovannini: le ragioni del NO

Sulla scorta del volume "Il Taglio dei Parlamentari - L'idea distorta della democrazia ridotta" del Prof. Alessandro Giovannini, pubblicato proprio in questi giorni, e ricorrendo anche al pensiero di Kelsen in materia di essenza della democrazia, oggi proverò ad analizzare le radici ideologiche della riforma costituzionale relativa al cd. Taglio dei Parlamentari.

Dice il prof. Giovannini: "La diminuzione del numero dei parlamentari è il primo germoglio di una strategia riduzionistica della democrazia rappresentativa.".

Ancora: "Tutti i movimenti populisti hanno sempre agito così: soffiando sul fuoco del malcontento, si sono dapprima impossessati delle chiavi di accesso ai palazzi e dopo hanno iniziato a cambiare le serrature dei portoni.".
La storia del XX secolo ha provveduto ampiamente a dimostrare tali assunti in Italia e non solo.


Ne ha parlato Kelsen già dagli anni Venti del secolo scorso, quando il sistema democratico parlamentare era oramai diventato in gran parte d’Europa oggetto di continui attacchi da parte dell’estrema destra e dell’estrema sinistra e il giurista austriaco pubblicava una serie di saggi che difendevano proprio questa tanto mortificata forma di governo.
Ritorno a Giovannini: "La legge costituzionale sottoposta al voto referendario intende avviare, per l’appunto, un processo di cambiamento con l’obiettivo di sostituire nel tempo, pian piano, il modello di democrazia rappresentativa con modelli di democrazia cibernetica oppure, come si dice con un abile e ingannevole gioco di parole, di democrazia diretta.".

La questione è molto importante e richiede un ulteriore approfondimento.
Ritorno, allora, ancora una volta al giurista austriaco.
Kelsen, infatti, ispirandosi a Max Weber ci ricorda che la specializzazione e la complessità raggiunte dall’ordine sociale rendevano, allora come oggi, di fatto impossibile qualsiasi esercizio di democrazia diretta.
Lo stesso mandato imperativo, cui il giurista riconosceva una indubbia corrispondenza all’ideale democratico della perfetta coincidenza tra la volontà dei governanti e quella dei governati, era di fatto irrealizzabile.
La democrazia reale non è, allora, soltanto caratterizzata dal principio di maggioranza, che a sua volta rende necessaria, in senso liberale, una effettiva tutela della minoranza, ma anche da un sistema rappresentativo indiretto ossia, in altri termini, dal parlamentarismo.
Ci ricorda Giovannini: "Le culture populiste hanno tutte il medesimo obiettivo: porre fuori gioco, in un modo o in un altro, prima o poi, il Parlamento, ridurlo “a un bivacco di manipoli”.".
"Nella logica (populista) il Parlamento non può che essere un organo inutile: «le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune scompariranno. La democrazia rappresentativa, per delega, perderà significato, la rete è il futuro». 
Questo, in estrema sintesi, è quello a cui credeva Gianroberto Casaleggio e a cui crede Davide Casaleggio. E questo è quello che sostengono, in un modo o in un altro, Beppe Grillo e altri esponenti del Movimento 5 Stelle, in perfetta coerenza con il programma elettorale del Movimento stesso, nel quale si afferma espressamente: «noi crediamo nella democrazia diretta!».
La radice culturale del taglio dei parlamentari, in buona sostanza, affonda in questo terreno.".

Mi rifaccio ancora una volta a Kelsen.
La democrazia reale non è, per il giurista austriaco, soltanto caratterizzata dal principio di maggioranza, che a sua volta rende necessaria, in senso liberale, una effettiva tutela della minoranza, ma anche da un sistema rappresentativo indiretto ossia, in altri termini, dal parlamentarismo.

Negli anni Venti del XX secolo, Kelsen insisteva su quest’ultimo aspetto non solo nell’ambito di una riflessione realistica sul significato di democrazia, ma anche in rapporto e in polemica con due movimenti politici che proprio dell’anti-parlamentarismo classico, basato sulla rappresentanza politica, avevano fatto uno dei loro motivi e caratteri ideologici principali. 
Nella prima edizione di "Essenza e valore della democrazia", Kelsen rispondeva criticamente al bolscevismo e alle sue pretese di aver superato la pratica parlamentare, mentre, nella seconda edizione del 1929, spostava la sua attenzione verso i movimenti autoritari di destra e la loro ideologia corporativistica.

In entrambi i casi, a ben vedere, la difesa liberaldemocratica del parlamentarismo presupponeva ancora una volta una riflessione realistica sui limiti della democrazia moderna. A suo giudizio, sebbene profondamente diversi, sia il bolscevismo, sia i movimenti reazionari e fascisti che si stavano diffondendo nella sua Austria alla fine degli anni ‘20, condividevano il medesimo e profondo odio per la democrazia indiretta, parlamentare, per il meccanismo decisionale che la regolava: se il bolscevismo diceva di aver superato la «democrazia borghese» attraverso il sistema dei Soviet, le forze conservatrici proponevano una riforma in senso «corporativistico» che creasse una assemblea formata dagli esponenti delle principali «categorie professionali».
In entrambi i casi, secondo Kelsen, si aveva a che fare con movimenti che contestavano il principio del mandato libero, della «irresponsabilità» dei deputati, della distanza tra rappresentanti e rappresentati.
In effetti, tali analisi si attagliano abbastanza bene alla situazione attuale e alle radici profonde del referendum costituzionale di questi giorni.
Concludo con Giovannini: "Tutti i populismi, di destra e di sinistra, rivoluzionari o pseudo democratici, nati nel nord o nel sud del mondo, a est o ad ovest, sono arrivati a sterilizzare, di riffa o di raffa, la rappresentanza parlamentare e le funzioni del Parlamento...
Se nella storia è già accaduto, può accadere di nuovo, ripeterebbe profeticamente Primo Levi. Certo, in forme e modi diversi, anche profondamente diversi, specie nelle modalità, ma potrebbe senz’altro accadere di nuovo. 
L’amputazione anche minima delle regole costituzionali per come scritte all’origine, se animata da intenti simili a quelli ricordati, apre sempre squarci bui sul futuro. Crea un precedente molto pericoloso dal punto di vista culturale e politico: culturale, perché accredita e fortifica chi continua a mestare nel brodo gelatinoso del populismo e dell’artefazione delle regole democratiche; politico, perché finisce per legittimare ulteriori, future amputazioni, magari ancora più profonde delle precedenti, della sovranità popolare.".

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