Da Beccaria a Mina Welby a lezione di laicità


 Sul tema del fine vita, dell’eutanasia e del suicidio assistito in questi giorni possiamo verificare, ancora una volta in Italia, che temi quali la laicità dello Stato e la libertà di autodeterminazione dei singoli individui sono messi a dura prova.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n°242 del 22 novembre 2019 sul cd. caso Cappato e ad ormai tre anni dalla promulgazione della legge n°219/2017 sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento, la Congregazione per la Dottrina della Fede condanna ogni forma di eutanasia e di suicidio assistito emanando una lettera sulla “cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita” rifacendosi alla parabola del buon samaritano.

Non solo!!!

A margine del consiglio permanente dei vescovi italiani, il segretario generale della CEI, Monsignor Stefano Russo, proprio in questi giorni, ha dichiarato “Non comprendo come si possa parlare di libertà, qui si creano i presupposti per una cultura della morte in cui la società perde il lume della ragione”.

La Chiesa conferma la sua condanna senza appello sul fine vita, e anzi Monsignor Russo espressamente chiede per i medici l’obiezione di coscienza: “Il medico esiste per curare le vite, non per interromperle”.

il Consiglio permanente dei vescovi italiani ha anche diramato un comunicato in cui espone che “i vescovi hanno unito la loro voce a quella di tante associazioni laicali nell'esprimere la preoccupazione a fronte di scelte destinate a provocare profonde conseguenze sul piano culturale e sociale”. “Consapevoli di quanto il tema si presti a strumentalizzazioni ideologiche, si sono messi in ascolto delle paure che lacerano le persone davanti alla realtà di una malattia grave e della sofferenza”.


Sul versante della laicità e della libertà, invece, e con una marcia pacifica da Montecitorio a Piazza San Pietro, c’è l'Associazione Luca Coscioni.

Sabato scorso l’associazione ha protestato contro la lettera “Samaritanus bonus” della Congregazione per la Dottrina della Fede e specificamente contro la parte in cui si afferma che “l'eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva. Coloro che approvano leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno”.


Tra l’altro, in queste ore è in corso il XVII Congresso online dell'Associazione Coscioni e proprio giovedì 1° ottobre, alle ore 20, verrà affrontato il tema del Fine vita, nel corso della commissione “DAT, cure palliative, suicidio assistito: cosa si può fare oggi in Italia”.


Mina Welby, dopo la manifestazione conclusasi in Piazza San Pietro ha dichiarato alla stampa: “Nella lettera ‘Samaritanus bonus' la Congregazione Vaticana definisce l'eutanasia un atto "intrinsecamente malvagio". Nel documento viene negata con forza l'eutanasia. Noi, come associazione, cerchiamo di accogliere la richiesta di un cittadino quando è sofferente e non trova più il modo per non soffrire attraverso le cure. Noi non facciamo altro che invitarlo a parlare con il suo medico, ricordandogli che esiste già una legge. Ogni cittadino ha il diritto di essere ascoltato, informato, aiutato a scegliere le cure giuste, che possono essere rifiutate o accettate. In Svizzera, nelle cliniche a cui i malati per nostro tramite si rivolgono, vengono offerte delle alternative, si cerca sempre di proporre altre cure possibili. Io sono in contatto specificamente con due strutture. Tante volte i medici chiedono al malato accertamenti aggiuntivi, per verificare che non vi siano davvero altre strade per migliorare la qualità della sua vita. Conosco persone che sono andate in Svizzera e che poi sono ritornate a casa in Italia, perché i medici li hanno convinti del fatto che potevano ancora recuperare.”.


Desidero che il lettore ponga particolare attenzione alle seguenti parole di Mina Welby: “Il suicidio assistito come hanno stabilito i giudici, in determinate condizioni è legale. Ma se la Chiesa scrive che "l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio", rivolgendosi ai cattolici, significa che chi pensa di ricorrere al suicidio assistito commette un ‘peccato', che ovviamente è cosa diversa dal ‘delitto'. Non è più un delitto l'aborto, per esempio. Ma è un peccato per la Chiesa. E lo stesso ragionamento vale se un cattolico ricorre al suicidio assistito, per il quale comunque deve sempre esserci la richiesta esplicita della persona morente. In questo senso la lettera della Congregazione Vaticana è contro lo Stato, perché ribadendo questo principio morale di fatto vuole impedire che donne e uomini possano ricorrere a queste pratiche.”.

Questo è un tema che chiunque abbia affrontato studi giuridici conosce molto bene; tuttavia è opportuno chiarirlo con un richiamo specifico.



Quando nel 1764 Cesare Beccaria pubblicò il famoso “Dei delitti e delle pene”, proponendo l’abolizione della pena di morte, ebbe modo di introdurre anche un altro importante aspetto dottrinale: la distinzione tra peccato e reato.

Il reato secondo Cesare Beccaria è un danno fatto alla società e dalla società deve essere giudicato; il peccato, viceversa, è un’offesa recata a Dio e da Dio soltanto deve essere giudicato e punito, giustificato o perdonato.

La sanzione del reato, dunque, è di competenza della legge positiva e quindi dello Stato; la sanzione del peccato, diversamente, afferisce alla religione e quindi alla Chiesa. 

È in virtù di questa distinzione tra la giustizia divina e la giustizia umana che si attua la laicizzazione della politica e la secolarizzazione della società e dello Stato e si pone definitivamente fine ad un regime giuridico nel quale peccato e delitto vengono confusi.

Incidentalmente, fu proprio questa tesi a far finire il libro del nobile illuminista milanese nell’Indice dei libri proibiti. 



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