Caso Trentini: le motivazioni della sentenza di assoluzione


A fine luglio scorso avevamo approfondito, con le parole degli Avvocati difensori (Cfr. Con la testa e con il cuore), la notizia che Marco Cappato e Mina Welby erano stati assolti dalla Corte di Assise di Massa “dal reato a loro ascritto (istigazione e aiuto al suicidio di Davide Trentini) perché il fatto non sussiste quanto alla condotta di rafforzamento del proposito di suicidio e perché il fatto non costituisce reato quanto alla condotta di agevolazione dell’esecuzione del suicidio”. 
In sintesi: Davide Trentini soffriva di sclerosi multipla dal 1993. Aveva 53 anni e la sua vita, per le condizioni di salute progressivamente sempre più deficitarie, era diventata un vero e proprio calvario. Per questo ha contattato Marco Cappato e poi Mina Welby per conoscere le modalità e infine accedere alla morte volontaria in Svizzera.
A questo punto Mina Welby ha accompagnato Davide Trentini in Svizzera, aiutandolo in tutte le procedure burocratiche mentre Marco Cappato raccoglieva, attraverso l’associazione Soccorso Civile Sos Eutanasia di cui fanno parte entrambi insieme a Gustavo Fraticelli, i fondi mancanti per pagare la clinica Svizzera.
Entrambi, autodenunciatisi come nella migliore tradizione dei disobbedienti civili, erano stati imputati per il reato di cui all’art. 580 del codice penale in concorso fra loro, ossia per istigazione o aiuto al suicidio.
Nei giorni scorsi sono state finalmente rese anche le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Massa.
È interessante, allora, riportare le parole di commento alla pronuncia, rilasciate da Filomena Gallo, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, avvocato, coordinatrice e difensore nel collegio difensivo di Welby e Cappato perché illustrano in maniera chiara ed inequivoca i passaggi principali della sentenza, anche in relazione alla pronuncia della Corte Costituzionale sul caso DJ Fabo, simile ma non identico al caso Trentini e perché, ancora una volta, stigmatizzano con vigore l'inerzia di Parlamento e Governo a voler affrontare una questione così importante per i diritti e la libertà dei cittadini.




Dice l'Avv. Gallo: “La Corte evidenzia che il requisito dei “trattamenti di sostegno vitale”, indicato dai Giudici della Corte Costituzionale con la sentenza 242/19, non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza “da una macchina” “(cfr. p. 30).

Partendo dal caso di Fabiano Antoniani, la Consulta era arrivata a configurare una nuova causa di giustificazione che esclude la punibilità in presenza di determinate condizioni che la Corte è pervenuta a enucleare prendendo come punto di riferimento la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento 219/17 e in particolare i trattamenti sanitari che la legge sul “testamento biologico” consente di rifiutare.

La Corte di Assise di Massa ha chiarito che il riferimento è da intendersi a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari medici. Sono compresi anche la nutrizione e idratazione artificiali”.

Marco Cappato e Mina Welby sono stati dunque assolti perchè “sussistono tutti i requisiti della scriminante configurata dalla sentenza 242 del 2019” incluso il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. Gli imputati sono assolti “ai sensi dei commi 3 e 2 dell’art. 530 cpp dal reato di agevolazione dell’esecuzione del suicidio con la formula perché il fatto non costituisce reato”.

I giudici della Corte di Assise di Massa, attenti alla libertà di autodeterminazione del malato, hanno emanato una decisione che è pienamente conforme alla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, che ha creato una nuova causa di giustificazione in presenza della quale l’agevolazione del suicidio non è punibile (cfr. sent. pag. 24).

“La decisione – precisa l'Avv. Gallo – aggiunge l’elemento importante (emerso dalla consulenza tecnica del Dr. Mario Riccio) che il trattamento di sostegno vitale è e ‘deve intendersi qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte  del malato anche in maniera non rapida (Cf pag. 31 sentenza)”. 

Questa era infatti la situazione di Trentini, sottoposto a una serie di trattamenti sanitari la cui interruzione avrebbe certamente portato al decesso, ma non nell’immediato. La politica continua a non assumersi la responsabilità di fare il proprio mestiere, quello di legiferare, ancora una volta è grazie ai giudici i diritti fondamentali possono essere goduti. Auspichiamo che, anche grazie alla chiarezza delle motivazioni di questa sentenza, quanto prima si sblocchi la paralisi riformatrice delle Camere e si possa arrivare a una chiara regolamentazione del ‘fine vita”.

Insomma, Governo e Parlamento continuano a non assumersi la responsabilità di adottare norme chiare per tutelare questo diritto a scegliere. Non si assumono le loro responsabilità né davanti ai cittadini né davanti alla Corte Costituzionale che in più di una occasione, formale o informale, ha dovuto ricordare che non è la Corte stessa a scrivere le leggi, ma è, piuttosto, il Legislatore.


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