A titolo esemplificativo, il Garante ha evidenziato che “non sarebbe legittimo fornire per lo smart working un computer dotato di funzionalità che consentono al datore di lavoro di esercitare un monitoraggio sistematico e pervasivo dell’attività compiuta dal dipendente tramite questo dispositivo”.
Del resto, sin dalle premesse del suo discorso, il Garante aveva ritenuto indispensabile ribadire che in un contesto emergenziale il rischio più grande è l’assuefazione, se non addirittura l’indifferenza alla progressiva perdita di libertà, laddove invece le limitazioni dei diritti devono essere circoscritte entro la misura strettamente indispensabile, con una revisione costante della loro proporzionalità e necessità.
La protezione dati – qualificata come fondamentale diritto di libertà dalla Carta di Nizza ha continuato Soro – è in questo senso, un cursore importante della sostenibilità del governo dell’emergenza, sotto il profilo delle garanzie democratiche. In quanto diritto dall’applicazione straordinariamente trasversale a ogni ambito della vita (dal lavoro alle relazioni interpersonali, dai rapporti commerciali all’immagine pubblica di sé, ecc.), racconta molto del rapporto, appunto, tra la vita e le regole.
"La traslazione on-line di pressoché tutte le nostre attività non è, infatti, un processo neutro, ma comporta, se non assistito da adeguate garanzie, l’esposizione a inattese vulnerabilità in termini non solo di sicurezza informatica ma anche di soggezione a ingerenze e controlli spesso più insidiosi, perché meno percettibili, di quelli tradizionali.".
Nel merito della tutela dei diritti dei lavoratori, il Garante ha successivamente ribadito che “va anche assicurata in modo più netto anche il diritto alla disconnessione senza cui si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così una delle più antiche conquiste raggiunte dal diritto del lavoro”.
Per approfondire: http://webtv.senato.it/webtv_comm?video_evento=80101
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