L'interdittiva antimafia alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea

Il Riformista del 7 febbraio 2020


L’interdittiva antimafia o informativa antimafia a mente del comma 3 dell’art. 84 del D.Lgs n° 159/2011 “consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 91, comma 6, nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4.”.

Le cause di decadenza possono riguardare “licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e sub-contratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera.”.
L’interdittiva antimafia, in buona sostanza, consiste in un provvedimento amministrativo di natura preventiva emesso dal Prefetto con lo scopo di tutelare l’ordine pubblico, la libera concorrenza tra le imprese e il buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Tale provvedimento non si fonda su dati certi, ma su una valutazione probabilistica in base a indizi gravi, precisi e concordanti e, secondo le intenzioni del Legislatore, non avrebbe natura afflittiva, ma tenderebbe piuttosto a ostacolare o, meglio, ad impedire l’infiltrazione della mafia o della criminalità organizzata, in generale, nell’economia legale.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione III, con ordinanza dello scorso 13 gennaio, ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di chiarire se gli articoli 91, 92 e 93 del Codice Antimafia, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale, siano compatibili con il principio del contraddittorio, quale principio di diritto dell’Unione Europea o piuttosto violino la garanzia partecipativa nel procedimento amministrativo, intesa quale espressione fondamentale di civiltà giuridica europea.
Il Collegio, con una pronuncia fortemente innovativa, non ha condiviso l’interpretazione sinora dominante della natura cautelare del provvedimento prefettizio, argomentando che, in effetti, non si tratta di misura provvisoria, adottata in vista di un provvedimento che definisca con caratteristiche di stabilità e inoppugnabilità il rapporto giuridico controverso, bensì di atto conclusivo del procedimento amministrativo avente effetti durevoli se non definitivi sul rapporto giuridico tra l’impresa e la P.A..
Ne consegue che il contraddittorio tra il Prefetto e l’impresa nella fase procedimentale assume un’importanza fondamentale ai fini della tutela della posizione giuridica dell’impresa che, infatti, potrebbe sottoporre al Prefetto prove utili per ottenere una liberatoria, pur in presenza di indizi contrari.
Nel provvedimento del Tar di Bari “riecheggia il senso delle proposte di legge di iniziativa popolare del Partito Radicale volte a impedire le infiltrazioni mafiose nel sistema economico senza distruggerlo, a salvaguardare la continuità aziendale e amministrativa, a prevenire il crimine senza massacrare la vita delle persone, a combattere la mafia senza minare i principi dello Stato di Diritto e i diritti umani” chiosa Sergio D'Elia, Segretario di “Nessuno Tocchi Caino” sul Riformista del 7 febbraio 2020.

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