La ghigliottina della democrazia


Il prossimo 29 marzo i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi sulla riforma costituzionale che ridurrà il numero dei parlamentari. Il numero dei Senatori potrebbe passare da 315 a 200, quello dei Deputati da 630 a 400.
Di seguito il quesito: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?»
Le possibili risposte al referendum saranno “Sì” e “No”. Votando “Sì”, si confermerà la volontà di ridurre il numero di parlamentari stabilito dalla riforma Fraccaro. Votando “No”, si decide di mantenere l’attuale numero di Parlamentari (945).
Trattandosi di un referendum confermativo, non c’è necessità di raggiungere il quorum. Vince e si afferma l’opzione che, semplicemente, riceve più voti e ciò indipendentemente dall’affluenza.
Sin qui la notizia, di seguito la mia opinione, corroborata anche dal parere di oltre cinquanta accademici italiani tra cui Alfonso Celotto - Professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre, Gianfranco Macrì - Professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Salerno; Marina Calamo Specchia - Professore ordinario di Diritto Costituzionale Comparato presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari; Serena Sileoni - Assegnista di ricerca in Diritto Costituzionale presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, vicedirettore generale dell’Istituto Bruno Leoni e tanti altri.
La riduzione del numero dei Parlamentari non comporta nessun reale e sostanziale taglio dei costi, ma solamente un taglio del sistema democratico del nostro Paese; è una riforma puramente demagogica che va a diminuire la rappresentanza dei cittadini sia alla Camera che al Senato.
La Costituzione e la democrazia rappresentativa che essa ha delineato, anche attraverso il numero dei parlamentari, sono cose serie!
Qualunque modifica del numero dei parlamentari non può che essere contestuale o successiva alle altre modifiche costituzionali riguardanti il ruolo e il funzionamento delle camere. In caso contrario, il taglio dei parlamentari prospettato dalla legge di revisione costituzionale non costituirebbe una riforma, ma una vera e propria mutilazione della Costituzione, per di più priva di un quadro di coerente adeguamento del sistema.
I Padri Costituenti, infatti, scelsero un numero congruo di parlamentari affinché il pluralismo politico italiano trovasse un’ampia rappresentanza in Parlamento.
Oggi sarebbe anche possibile ridurre quel numero, ma non si può né accettare che la ragione di tale riforma poggi sull’irrisorio risparmio che determinerebbe, poche decine di milioni l’anno, un caffè al giorno per ogni italiano, e, men che meno, sull’esigenza di certificare, con una sorta di sacrificio esemplare, il disprezzo per il Parlamento e per la democrazia rappresentativa ostentato dallo schieramento populista.
Soprattutto, l’efficienza del processo legislativo e la stabilità delle funzioni di governo possono giovarsi di misure di riequilibrio, anche quantitativo, della composizione delle Camere, se e solo se si accompagnano a modifiche coerenti del bicameralismo paritario.
Occorre perciò sensibilizzare i cittadini: apportare modifiche così significative al numero dei parlamentari previsti dalla Costituzione presenta una serie di “effetti collaterali” potenzialmente esplosivi.
La riduzione a 200 del numero dei Senatori, vista la loro elezione su base regionale e il numero minimo di eletti previsti per ciascuna regione, comporta come conseguenza l’innalzamento delle soglie di sbarramento, oltre le quali i partiti politici possono essere rappresentati in Senato, soglie di fatto molto superiori al limite previsto dalla legge elettorale. Ciò determinerebbe l’accesso a Palazzo Madama di un numero minimo di forze politiche, sacrificando la rappresentanza di ampie porzioni del corpo elettorale.
La riduzione di oltre un terzo dei parlamentari, senza un correttivo oculato, accresce, inoltre, in maniera esponenziale il peso dei delegati regionali che partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica: diminuire drasticamente Deputati e Senatori senza preoccuparsi dell’incidenza dei rappresentanti delle regioni determina una grave alterazione del delicato rapporto fra i due gruppi di elettori nell’elezione della più importante figura di garanzia costituzionale.
Insomma: il numero dei Parlamentari non fu scelto a caso dai Costituenti e non deve essere modificato a caso.
Un'eventuale riduzione del numero di Parlamentari potrebbe causare “un conseguente taglio della rappresentanza sul territorio”. Il costituzionalista Alfonso Celotto mette in guardia sui possibili effetti di una riforma “che potrebbe compromettere la pienezza del pluralismo democratico”. 
Il tema del quesito referendario, apparentemente facile, è invece molto insidioso: “In gioco, infatti - spiega - non c'è solo la semplice riduzione a 600 parlamentari, con un risparmio limitato per le casse dello Stato. Il rischio è invece quello di compromettere la pienezza del pluralismo democratico, la rappresentatività sul territorio. Potrebbero esserci regioni con pochissimi senatori o categorie non rappresentate. Il Parlamento ha di sicuro i suoi problemi, ma non verranno risolti tagliando semplicemente il numero di deputati e senatori”.

La democrazia parlamentare è un meccanismo delicato. Stiamo attenti!

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