Il Rotary e il Cosmopolitismo



Il dodicesimo capitolo del libro “Questa epoca rotariana” pubblicato da Paul Harris nel 1935 è intitolato “IL CONCETTO ROTARIANO DI UN MONDO IN PACE È UTOPICO?
Dice Paul Harris: “Se fra gli obiettivi del Rotary ve ne fosse uno che potesse apparire particolarmente retorico, sarebbe forse quello secondo il quale “il progresso dell’amicizia si realizza attraverso la fratellanza internazionale di uomini d’affari e professionisti uniti dall’ideale del servire”. Eppure, nonostante tutto, uomini d’affari di successo, di buon senso e di gran senno, appartenenti ad ottanta nazioni nutrono profonda fede in esso. Pedagogisti eminenti di molte nazioni diverse condividono lo stesso ottimismo.
Non passerà molto tempo perché il Rotary possa vantare la propria cittadinanza in un centinaio di paesi, ma viene da chiedersi se un’organizzazione del genere, con diverse migliaia di club localizzati nei centri vitali di tante nazioni, possa esercitare un’apprezzabile influenza su quell’istituzione che chiamiamo “guerra”. Questo è un quesito veramente importante.
Se la guerra fosse razionale, si potrebbe prontamente rispondere “sì”, ma raramente la guerra è razionale. La guerra non ripaga né il vincitore né il vinto e, nella migliore delle ipotesi, è la cosa peggiore che esseri umani possano sperimentare.
La guerra è la conseguenza di passioni sfrenate, di passioni generate dalla cupidigia e dall’invidia, dall’intolleranza, dall’arroganza, dalla rivalità ed infine dall’odio, trasformato in furore dalle menzogne, attendibili o meno, plausibili o no, sublimi e assurde. In tempi di minaccia di guerra o di conflitto in atto la brama di dire bugie diventa insaziabile, ed esse vengono prese per buone. Chi manifesta opinioni diverse viene posto sotto il controllo di un comitato di vigilanza i cui componenti gli instillano nel cervello che in tempo di guerra le menzogne sono consentite e debbono essere accettate con vera gioia…
Il Rotary si sforza di incoraggiare l’usanza di un rispetto amichevole nelle relazioni internazionali.
Secondo il modo di pensare di molti, la diffidenza ed il senso del patriottismo sono sinonimi. In quest’ottica si pensa che agisca correttamente chi abitualmente attribuisce ai propri compatrioti motivazioni onorevoli ma considera un traditore colui che predica ponderazione prima di condannare quelle stesse motivazioni nei confronti di uomini di altri paesi.

Il progetto del Rotary, in realtà, non è il ripiego dell’ultimo momento.
Il Rotary iniziò molti anni fa la sua campagna per promuovere l’amicizia internazionale;
in quest’importante azione, esso è un pioniere. Il Rotary non conosce frontiere, il suo sole non tramonta mai. Nella vastità del suo dominio, in Europa, Asia, Africa, Nord e Sud America ed in Australia, continua paziente e deciso l’opera di promozione internazionale dell’amicizia e della comprensione.
Sono molti gli ostacoli che l’amicizia deve superare: differenza di idiomi, di religioni, di razze, di costumi, l’eterno provincialismo, l’intolleranza e il complesso di superiorità. Per fortuna questi ostacoli non sono insormontabili; in un modo o nell’altro vengono gradatamente superati.
Il Rotary, nel suo sforzo di promuovere la comprensione fra i popoli, fa ricorso agli stessi mezzi che ebbero successo agli inizi del movimento: i rapporti di amicizia. L’unica differenza essenziale sta però nel fatto che, allora, l’esperimento coinvolse rappresentanti di razze diverse e gruppi religiosi operanti in un’unica città, mentre oggi hanno preso parte alla gloriosa avventura cittadini di quasi tutte le nazioni del mondo.
 È giunto il tempo delle organizzazioni internazionali. Il Rotary avrebbe potuto essere esclusivamente un’istituzione americana; non lo è stato perché i suoi orizzonti andavano oltre. Non c’era altra ragione, in realtà, perché il Rotary diventasse internazionale più di quanto non ce ne fosse per ogni altra istituzione religiosa, etica, scientifica o di qualsiasi altra specie. Ma ora che il Rotary ha conquistato un rango internazionale anche altre organizzazioni dello stesso tipo e di diversa ispirazione acquisteranno una prospettiva internazionale.
Coloro che hanno a cuore la conservazione della pace devono incoraggiare l’affiliazione alle varie organizzazioni internazionali; una più ampia capacità di comprensione farà crescere l’interesse ed aumenterà l’efficacia di queste associazioni.

È chiaro quindi che le radici della rete di rappresentanti del Rotary precedono la stessa creazione formale delle Nazioni Unite, dopo la Seconda Guerra mondiale. Nel 1942, i Rotary club provenienti da 21 nazioni organizzarono una conferenza a Londra a cui parteciparono i ministri dell’istruzione, per sviluppare idee su come avanzare l’istruzione, la scienza e la cultura tra le nazioni. Questo incontro portò all’organizzazione nota come UNESCO -- l’organizzazione educativa, scientifica e culturale delle Nazioni Unite.
Delegazioni di soci del Rotary hanno contribuito alla stesura della Carta dell’ONU a San Francisco nel 1945 e hanno dato all’organizzazione un forte sostegno durante i suoi primi anni, fino a quando la guerra fredda non l’ha trasformata in una questione ideologica. La partecipazione del Rotary è diminuita nel corso dei decenni successivi in linea con il suo regolamento contrario ad un coinvolgimento politico.




La scintilla che ha riacceso l’interesse del Rotary nelle Nazioni Unite è stato il lancio della campagna per l’eradicazione della polio nel 1985, e la successiva partnership con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNICEF.
"Con l’avvento di PolioPlus [la campagna del Rotary contro la polio], è diventato estremamente importante ristabilire la nostra presenza", ha spiegato Jenkins.
Nel corso del tempo, l’influenza delle organizzazioni non governative alle Nazioni Unite è cresciuta, le questioni riguardanti l’ambiente, la salute, l’educazione, e i diritti umani hanno preso il sopravvento e occupano un posto di maggiore rilievo nell’ordine del giorno. Di conseguenza, l’influenza del Rotary è cresciuta. Gli sforzi del Rotary nel campo della salute materna e infantile, acqua e strutture igienico-sanitarie e istruzione, hanno tratto beneficio da questi legami, e hanno seguito molti degli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite.
Il Consiglio centrale del Rotary International ha ampliato gradualmente la rete rappresentativa, per includere le agenzie specializzate delle Nazioni Unite con sede a Ginevra, Vienna e Parigi. I rappresentanti sono anche legati ad altri grandi gruppi internazionali, come il Programma Alimentare Mondiale, l’Organizzazione dell’Unità Africana e il Commonwealth delle Nazioni. La rete oggi è composta da 30 dirigenti del Rotary, nominati dal Presidente del RI, che comunicano le priorità del Rotary su base regolare a questi vari organi.

Ma da dove parte questo anelito cosmopolita?
Se ci limitiamo alla storia del pensiero europeo possiamo individuare almeno tre momenti storici del cosmopolitismo: il cosmopolitismo antico (lo stoicismo), lo ius cosmopoliticum illuministico e kantiano; i crimini contro l’umanità e il diritto come strumento di pacificazione dei conflitti (Hanna Harendt e Hans Kelsen).
Nell’antichità classica, lo stoicismo, attraverso le nozioni di cosmos e polis, individua un dualismo in cui un concetto fortifica l’altro: la polis cosmica (i diritti umani) realizza il principio superiore innanzi al quale gli aspetti particolari della comunità devono inserirsi per essere vissuti individualmente e collettivamente.

Successivamente, nel XVIII secolo, con il saggio “Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico” (1784), il filosofo di Königsberg parte dal concetto dell’"insocievole socievolezza" insita negli uomini e lo descrive come il filo conduttore che, pur tra tensioni continue, prima tra i singoli uomini poi tra gli Stati, conduce inevitabilmente alla realizzazione di una perfetta società politicamente organizzata.

La realizzazione di questo fine non è solo morale; è strettamente dipendente dalla regolamentazione giuridica dei rapporti esterni fra i vari Stati. L'egoismo che si manifesta nella condotta dei singoli uomini è infatti presente anche nei rapporti fra le nazioni. Ogni Stato tende a prevaricare, per cui l'astuzia della natura consiste nel servirsi della discordia fra i corpi politici “come di un mezzo per trarre dal loro inevitabile antagonismo una condizione di pace e di sicurezza”.
In seguito, con il saggio “Per la pace perpetua” (1795), l’opera più importante del pensiero politico di Kant, il filosofo parte dal diritto civile e dal diritto internazionale e fonda accanto ad essi e tra di essi uno ius cosmopoliticum.
Perciò, conclude Kant, anche se i meccanismi messi in atto dalla natura non ci assicurano della realizzazione della pace perpetua, il loro funzionamento ci induce a collaborare attivamente a tale scopo.
In questo mondo retto da un diritto cosmopolitico dovrà essere riconosciuto a ciascuno il diritto di visita, ossia il diritto a recarsi in uno Stato straniero e a restarvi fin quando non danneggia nessuno. Un diritto che riposa sull’originaria proprietà comune della terra da parte di tutti gli uomini e sul fatto che la terra non è infinita e gli uomini non possono disperdersi completamente, ma devono in un modo o nell’altro coesistere.
Affermazioni che secoli fa potevano interessare pochi uomini che viaggiavano da una parte all’altra del globo, ma che nell’epoca delle migrazioni forzate e dei profughi di guerra assumono un nuovo valore.

A perfezionare il sistema kantiano interviene, nel XX secolo, Hans Kelsen con l’opera “Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale” scritto durante la Prima Guerra Mondiale e pubblicato nel 1920.

Il giurista austriaco Kelsen afferma: “solo temporaneamente e nient'affatto per sempre l'umanità contemporanea si divide in Stati, che si sono formati del resto in maniera più o meno arbitraria. La sua unità giuridica e cioè la civitas maxima come organizzazione del mondo: questo è il nocciolo politico del primato del diritto internazionale, che è al tempo stesso l'idea fondamentale di quel pacifismo che nell'ambito della politica internazionale costituisce l'immagine rovesciata dell'imperialismo”.
Kelsen, tuttavia dopo il fallimento della Società delle Nazioni ed in piena Seconda Guerra Mondiale, con il suo saggio più politico “La pace attraverso il diritto” del 1944 indica un cammino più pragmatico alla comunità internazionale; un cammino che deve essere realistico, e dunque accettabile per gli Stati.
Kelsen non rifiuta l’idea di creazione di una federazione mondiale, la civitas maxima, ma lo reputa un progetto troppo ambizioso nell’immediato per diversi motivi legati essenzialmente all’organizzazione di un sistema democratico mondiale.
Kelsen intravede, quindi, la possibilità di sottomettere gli Stati non ad un’altra organizzazione statalista ma ad un sistema giuridico. La necessità di limitare la sovranità è individuata chiaramente da Kelsen. Questa limitazione può nascere solo dalla creazione di un ordine giuridico internazionale che sottometta la decisione degli Stati a delle regole accettate a priori. Si ripropone dunque la teoria del contratto sociale, che Kelsen boccia come ipotesi storica di formazione degli Stati nazionali, ma che promuove come metodo per la nascita di un ordine internazionale fondato sul diritto.
Il riconoscimento di un diritto internazionale permette in effetti la trasformazione di conflitti politici, sociali o economici internazionali in conflitti legali, regolati dal diritto. In questo senso, anche senza Stato internazionale, il diritto è strumento di pacificazione perché offre un mezzo di risoluzione che non sia fondato esclusivamente sulla forza. In realtà questa virtù pacificatoria del diritto attraverso l’organizzazione della forza è al centro della sua natura. Il diritto esiste per regolare i conflitti e non esclude l’esistenza della forza.
Bisogna dunque limitare la sovranità degli Stati. Per questo, Kelsen suggerisce un sistema di Corte internazionale per risolvere ogni conflitto internazionale tra Stati. Questa corte dovrebbe avere una giurisdizione obbligatoria.
La Corte internazionale può funzionare anche senza Stato internazionale. Il principio dell’uguaglianza di tutti gli Stati dev’essere affermato. Quest’uguaglianza è un’uguaglianza in senso giuridico, ovviamente non reale. Kelsen non ignora il fatto che gli Stati sono diversi in potenza, forza ed influenza. Egli riafferma soltanto il fatto che in senso giuridico gli Stati sono uguali se vengono trattati ugualmente da un autorità indipendente, come può essere una Corte di giustizia.


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