La falcidiabilità dell'IVA nella composizione della crisi da sovraindebitamento dopo l'intervento della Consulta

La Corte Costituzionale, con la sentenza n.245/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n.3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole: «all’imposta sul valore aggiunto». 


Con questa pronuncia, pertanto, in linea con la disciplina dell'IVA nel novellato concordato preventivo ed in ossequio alla disciplina comunitaria, è consentita la falcidiabilità dell'IVA nella composizione della crisi da sovraindebitamento.
In buona sostanza, la Consulta ha ravvisato che la differenza di disciplina che caratterizza il concordato preventivo e l’accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile, sul piano della falcidia dell’Iva, desse luogo ad una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento.
La Corte Costituzionale ha rilevato anzitutto che la L. 3/2012 abbia introdotto nel nostro ordinamento degli strumenti per i soggetti non fallibili, in crisi perché gravemente indebitati o già insolventi, di chiara matrice concorsuale, strutturati in chiave concordataria o meramente liquidatoria ed in termini sostanzialmente analoghi agli affini istituti contenuti nella legge fallimentare per i debitori fallibili; Poi ha precisato che la disciplina sul sovraindebitamento garantisce anche ai soggetti non fallibili, connotati da gravi situazioni debitorie, l’accesso a misure di carattere esdebitatorio, alternative alla liquidazione o conseguenziali alla stessa, tali da consentire loro di potersi ricollocare utilmente all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni, pur a fronte di un adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato; e ciò analogamente a quanto garantito dall’ordinamento agli imprenditori assoggettabili a fallimento. Si tratta quindi di procedure che, in alternativa alla esecuzione individuale ed in deroga al principio secondo il quale delle obbligazioni si risponde con i propri beni attuali e futuri, attraverso forme concorsuali di soddisfacimento dei creditori destinate a garantire la par condicio (art. 2741 c.c.), sono in grado di permettere al debitore di conseguire il beneficio dell’esdebitazione; Infine, che l’accordo con i creditori è strutturato, mutatis mutandis, secondo lo schema del concordato preventivo previsto dalla legge fallimentare
In definitiva, entrambe le procedure hanno una base negoziale; entrambe rispondono al principio della parità di trattamento dei creditori concorsuali; prevedono il blocco delle iniziative esecutive individuali in danno del patrimonio del proponente; impongono, sin dall’ammissione e sino all’omologazione, un parziale spossessamento della capacità di disporre dei beni, nonché la cristallizzazione degli accessori del credito; entrambe le procedure sono sottoposte alla verifica giurisdizionale, in sede di ammissione e di successiva omologa, da cui promana l’efficacia erga omnes per tutti i creditori, compresi quelli dissenzienti.
Peraltro, la Corte Costituzionale ha anche evidenziato che con il nuovo Codice della Crisi di Impresa e dell’insolvenza (non applicabile al caso) il legislatore ha recentemente revisionato la disciplina relativa alle procedure concorsuali, ridisegnando anche la normativa delle crisi da sovraindebitamento, inserendo una serie di novità, tra cui –sia nel concordato minore (il vecchio accordo di composizione, ora agli artt. 74 e ss. CCII), sia nella procedura di “ristrutturazione dei debiti del consumatore” (l’originario piano del consumatore, oggi agli artt. da 67 a 73 CCII)– il possibile pagamento parziale dei crediti privilegiati e tra questi anche di quelli tributari, senza più riproporre il divieto di falcidia, attualmente previsto dalla norma censurata.

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